I nostri giovani conoscono bene le caratteristiche tecniche di Instagram, il social network statunitense nato nel 2010 con la specifica funzione di trasmettere le immagini. Alcune recenti statistiche rivelano la presenza di oltre un miliardo di utenti attivi su Instagram (il 70% è fatto di giovani di età inferiore ai 35 anni), dove vengono pubblicate 59520 foto al minuto e 3.571.200 l’ora.
I giovani, però, sono meno informati sull’approccio comunicativo operato da Cristo attraverso il racconto delle parabole, che potremmo simpaticamente considerare un archetipo di Instagram al tempo di Cristo.
Cosa sono le parabole?
Il linguaggio tipico utilizzato da Gesù per rivelare il Regno di Dio è quello parabolico, un elemento fondamentale del suo insegnamento. Egli, servendosi di alcune immagini tratte dalla vita quotidiana e pertanto facilmente comprensibili a qualsiasi tipo di uditorio (il lavoro nei campi del contadino, la vita dei pescatori, il pastore ecc.), illustra e fa conoscere i contenuti principali della Sua predicazione: il Regno di Dio e la salvezza degli uomini.
La parabola è anche un invito ad operare, nella propria vita, una scelta radicale: “Per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti.
Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti?
Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “conoscere i misteri del regno dei cieli”. Per coloro che rimangono “fuori”, tutto resta enigmatico” (CCC, n. 546).
La parabola non è una fiaba, ma un racconto fittizio che, nell’immediatezza del suo linguaggio, offre a chi è disponibile ad accoglierla una visione nuova delle cose. Essa raggiunge il suo scopo nel momento in cui si crea un vero rapporto dialogico tra chi parla e chi ascolta. «Il linguaggio della rivelazione è necessariamente parabolico. Non possiamo parlare del mistero di Dio del suo regno direttamente, ma solo parabolicamente, indirettamente, mediante realtà desunte dalla nostra esperienza» (B. Maggioni). È attraverso gli esempi di vita quotidiana contenuti nel linguaggio parabolico che l’uomo ha, infatti, la possibilità (o forse è una “pretesa”) di intuire qualcosa del mistero di Dio.
Ogni parabola invita l’ascoltatore a fermarsi e a riflettere, per andare oltre e superare i limiti delle proprie certezze! L’evangelista Matteo ricorderà allora nel suo Vangelo: «Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13, 34-35).
C’è un ultimo aspetto che merita di essere ricordato, il fatto cioè che il principale mezzo di comunicazione utilizzato da Dio è Cristo, la Parola che si fa carne, così come spiegato bene dal teologo svizzero H.U. von Balthasar: «Il linguaggio di Dio è prima di tutto il suo personale: l’evento Gesù Cristo, il suo Verbo fatto carne. Egli parla con la sua carne: con quello che Gesù Cristo è, opera e soffre, con quello che egli stesso opera e permette che avvenga, e chiaramente anche con quello che egli dice; ma i suoi discorsi rappresentano soltanto una parte limitata della Parola che Egli è» (Von Balthasar).