L’Epifania è la festa degli incontri che si realizzano dopo un viaggio, o meglio, dopo un pellegrinaggio; è la festa della Chiesa che si apre all’incontro con tutti i popoli, per proclamare la Pasqua del Signore e offrire a tutti il dono della Verità nella persona del Bambino Gesù. È questo l’incipit e la chiusura dell’omelia dettata da monsignor Salvatore Priola, Rettore del Santuario Mariano Diocesano di Altavilla Milicia, a pochi chilometri da Palermo, dove l’aria è limpida persino negli spunti omiletici ivi proposti.
L’omelia mette a confronto il pellegrinaggio dei Magi con quello della nostra umanità, ponendo in luce le analogie e le contraddizioni che non è difficile riscontrare nel cammino di ogni uomo, frantumato dal pregiudizio e disinteressato alle domande di senso che potrebbero portare all’incontro con Dio.
«Se ci guardiamo dentro – afferma Priola –, se ci scrutiamo e abitiamo un po’ di più, e percorriamo le vie della nostra interiorità, anche lì, in quel microcosmo interiore, tutto può parlarci di Dio. Per cogliere l’Epifania di Dio, infatti, dobbiamo gettare via una serie di pregiudizi razionali e mentali che tante volte diventano un ostacolo e oscurano il nostro ragionamento, impedendoci di proseguire il nostro viaggio in questo mondo, arrestando la nostra ricerca e soffocando le domande e le possibili risposte; un’esperienza che ci fa ripiegare su noi stessi e impedisce di riconoscere negli altri il volto di Dio e la sua presenza, soprattutto quando gli altri sono, come ci insegna Gesù, i più poveri, gli ultimi, i dimenticati, gli abbandonati, quelli che non contano».
Nel nostro tempo, oggi, gravido di falsi profeti, non è semplice rintracciare – tra le luci fittizie contrapposte – il cammino che conduce alle verità dell’uomo e a quelle che riguardano Dio. Per altri versi, inoltre, bisogna combattere contro i sintomi dell’apatia spirituale che impediscono all’uomo di mettersi in gioco fino in fondo.
«I Magi – prosegue monsignor Priola – non si sono arresi, hanno seguito la stella e trovato Gesù a Betlemme, e da lì sono ripartiti “per un’altra via”! Non perché la ricerca umana sia una via sbagliata; i Magi fanno ritorno da un’altra via perché la strada che gli si apre davanti è un’altra: è la via la via della verità contemplata e della consapevolezza, è la via che procede dall’incontro con Dio. Non è certo la via di Erode. Perché se i Magi sono metafora di tutto questo, anche Erode, a modo suo, è metafora di ciò che l’umanità può diventare nel momento in cui, anziché mettersi in cammino, resta statica, immobile e asserragliata nel palazzo della propria egocentricità, della propria arroganza, della superbia, dell’autoreferenzialità. La fine che può fare l’uomo, è come quella di Erode che è “fintamente” interessato a quel Bambino, ma che in realtà, nella sua ipocrisia tragica, drammatica (poiché sappiamo bene quale sarà l’esito), Erode resta chiuso in se stesso, asserragliato nel suo palazzo, impaurito, sconvolto in se stesso. L’umanità che non si mette in cammino, che rinuncia a cercare, che non si apre all’incontro con Dio, rischia di fare la fine di Erode».
Il fatto che Erode e il Bambino Gesù non si siano incontrati, l’aver ignorato l’unica strada capace di andare incontro alla Verità porta Erode a vivere nello sgomento, e forte solo del suo potere umano compie il drammatico gesto della strage degli innocenti.
«L’incontro con Gesù – conclude il Rettore della Milicia – produce un cammino di grazia e di salvezza, la liberazione dal peccato e dal male, mette in cammino un popolo verso la patria del cielo. Questo popolo è la Chiesa. Ce lo ricordava l’annuncio del giorno della Pasqua ascoltato oggi: «La Chiesa pellegrina sulla terra, proclama la Pasqua del suo Signore», e nel proclamare la Pasqua del suo Signore, la Chiesa, pellegrina nel mondo, segue la via, la modalità, lo stile degli incontri. L’Epifania, è una grande festa di Chiesa, una Chiesa in cammino, aperta all’incontro con tutti i popoli, per proclamare la Pasqua del Signore e fare a tutti il dono della Verità nella persona del Bambino, di Gesù Cristo. Riscopriamo questa vocazione che noi abbiamo ricevuto sin dal Battesimo, questa nostra appartenenza alla Chiesa, questa nostra missione».