Il fercolo di Sant’Agata che attraversa la Città di Catania tra due ali di folla, nel giorno in cui la Chiesa ne fa liturgicamente memoria, è un ricordo che questi anni di pandemia hanno reso ancora più lontano.
Oggi, festa di Sant’Agata, le celebrazioni liturgiche all’interno della Cattedrale si svolgono con limitata partecipazione dei fedeli, e altri eventi possono essere seguiti da remoto sui canali “Facebook” e “Youtube” dell’Arcidiocesi, ma non è per niente la stessa cosa!
Agata, poi, ha abituato i catanesi a vederla partecipe della loro vita, in quelle dinamiche tra l’umano e il divino, dove Dio è al centro di tutto. Come quella volta che – apertasi una bocca eruttiva a Nicolosi, alle pendici dell’Etna – il beato cardinale Dusmet portò in processione, nel maggio del 1886, il velo di Sant’Agata (di cui parleremo dopo), e tutti i presenti videro il magma lavico, che procedeva “in discesa” verso Catania, arrestarsi immediatamente!
Agata nasce nei primi decenni del III secolo a Catania da nobile famiglia di fede cristiana.
Giovanissima, chiese e ottenne dal vescovo di Catania di consacrarsi a Dio. Invaghitosi della giovane Agata, il proconsole di Catania Quinziano fece di tutto per conquistarla, ma senza esito positivo. Questi insuccessi portarono Quinziano ad imbastire un processo contro Agata, alla quale non vennero risparmiate umiliazioni e torture, fino al punto di strapparle con delle grosse tenaglie i seni (guariti in seguito ad una visione dell’Apostolo Pietro). Agata venne poi spinta in una fornace ardente, ma chi prese parte all’esecuzione si accorse che il velo portato da Agata non si bruciava (diventando una delle reliquie più preziose conservate a Catania). Un grosso terremoto interruppe l’esecuzione e la folla dei catanesi si ribellò al terribile supplizio; il Proconsole allora fece togliere Agata dalla brace riconducendola, in fin di vita, in cella, dove – poche ore dopo – morirà nel 251.
Foto: Live Sicilia