Un breve percorso – proposto e curato da Maria Catena, docente di Liturgia alla Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista” dell’Arcidiocesi di Palermo – per riflettere sul messaggio dottrinale e spirituale dei Dieci Comandamenti.
I Comandamenti sono possibili? NO!!! Allora a cosa servono? A capire che è impossibile percorrere la strada tracciata da queste dieci parole senza la Grazia di Cristo. Dalla Legge alla Grazia!
Non sono una serie di NO, anche se così sembra, ma una MIRIADE DI SI! Sono possibilità e offrono un ottimo percorso di discernimento per un cammino vocazionale. Sono parole vere che toccano i nervi scoperti della nostra esistenza; sono un tuffo nelle fragilità umane perché ci smascherano mettendoci a nudo, perché quando siamo tentati ci sentiamo scoperti e vulnerabili. L’intento non è quello di schiacciarci ma di prenderci per mano come ci ricorda il profeta Osea (11, 3-8): «Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Come potrei abbandonarti!».
Ci lasceremo prendere per mano mettendo al centro non tanto l’aspetto etico ma piuttosto un Volto, quello di Cristo e, attraverso il suo, il nostro volto così tanto pieno di maschere stratificate a causa delle esperienze che talvolta ci rendono irriconoscibili a noi stessi e agli altri. Volta per volta capiremo meglio il contenuto del Decalogo, e conosceremo meglio Cristo, percependo sempre meglio qualcosa che nel nostro intimo corrisponde a quel Volto. Emerge la nostra voglia di vivere e di amare, di essere liberi, autentici, adulti, amorevoli, fedeli, generosi, sinceri e belli.
Non dobbiamo leggere il Decalogo per vedere quale sia il “no” da dire, ma il “sì” da annunciare. Non è tanto importante scoprire cosa ci sia di proibito, ma cosa sia implicato di positivo e liberante. Scrive il Santo Padre: «In Cristo, e solo in Lui, il Decalogo smette di essere condanna (cfr. Rm 8,1) e diventa l’autentica verità della vita umana, cioè desiderio di amore, desiderio del bene, di fare il bene, desiderio di gioia, desiderio di pace, di magnanimità, di benevolenza, di bontà, di fedeltà, di mitezza, dominio di sé. Da quei “no” si passa ad una serie di “sì”». Eppure questo processo è comunque doloroso perché niente quanto il bene sa metterci in crisi e mostrare quel che manca. Ammirare una cosa ben fatta svela quanto c’è di mal fatto in quel che si sta combinando. E questo, per l’appunto, è amaro. Ma è un’amarezza necessaria. Sentiamoci esortati alla bellezza, alla verità e all’amore, smuoviamo il motore interiore per un’attrazione verso il cambiamento e non i sensi di colpa, il fascino per il bene e non il rimorso. Saremo chiamati a “misericordiare” quel che c’è da rinnegare e abbandonarlo, non rimarcarlo. Ricostruire, non accusare.
«Quando uno cerca la felicità e la raggiunge – al dire di Kant – si accorgerà che tutto non è tutto», cioè che qualcosa manca. Remo Bodei, un filosofo, insegnante a Los Angeles, scrive: «La felicità è quella che non abbiamo cercato e arriva come un dono accolto con gratitudine. La felicità non somiglia alla calma piatta e al cielo azzurro, alla semplice, ma gradevole serenità dell’animo. È piuttosto paragonabile ai vertici o ai picchi di un diagramma vitale». «È un cuore con un ritmo sinusale» scrive Madre Emmanuel Corradini. «Noi viviamo in una realtà fatta di momenti, per così dire, spiccioli, mentre la felicità è una specie di moneta d’oro che si trova intera e non si sminuzza in piccole parti. La felicità è un modo di incontrare se stessi, con il nodo che noi siamo, e noi siamo dei nodi di relazione. Già da bambini l’io lo ritagliamo dalla madre e poi dai compagni, dai maestri di scuola. Il nostro io è semplicemente un cantiere in costruzione e allora l’errore, l’infelicità, deriva dal ritagliare dentro questo nodo di relazioni un presunto io in maniera narcisistica, dimenticando che noi siamo fatti dagli altri. La felicità consiste semplicemente in questo riannodare tutti i nostri legami, e nel riscoprire appunto una ricchezza di questi fili che si dipartono e convergono in noi stessi» (R. Bodei).
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