“Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione” (EG 126). Con queste parole il santo padre Francesco si riferisce alla pietà popolare indicandola come locus theologicus, cioè come luogo del manifestarsi di Dio e come strumento attraverso cui la chiesa autocomprende la propria fede. Ed è proprio su un luogo teologico che vuole posarsi il nostro sguardo.
La settimana santa di Enna infatti, non può essere considerata semplicemente una manifestazione folcloristica ma un complesso fenomeno antropologico che fornisce un inedito volto di Dio dagli umanissimi tratti siciliani.
L’antica città di Enna, posta a più di 900 metri di altezza, fu fondata intorno al XVI secolo a.C. ma proprio nel periodo greco ebbe modo di sviluppare la sua forte sensibilità religiosa attorno alla figura di Cerere, munifica dea delle messi. Gli ennesi riuscirono a spiegare attraverso il fascinoso mito del ratto di Proserpina, figlia amata di Cerere, il miracolo della natura che nell’entroterra, così come in tutto il territorio siculo, sembra esplodere in colori, profumi e sapori. Di conseguenza i culti misterici, ispirati alla vicenda della dea ennese, ben presto associarono dal mito al rito l’esperienza umana fatta di morte e vita.
Con l’avvento del cristianesimo, seppur con grande fatica, il culto alla dea greca venne accantonato per quello alla Vergine Maria, venerata con il titolo della “visitazione” in cui la Madre di Dio, in quel processo di trasposizione che fu la cristianizzazione, assumeva alcuni tratti della dea pagana.
Enna pertanto, con il cristianesimo non perse la sua sensibilità a spiegare la parabola della vita attraverso la fede ma anzi lo fece attraverso nuove forme e nuovi riti che traevano la loro sapienza dal Vangelo. Questo è anche il caso della Settimana Santa costituita da una serie di processioni di derivazione spagnola che vedono coinvolte ben sedici confraternite.
Culmine dei riti è senz’altro la lunga e intensa processione del Venerdì santo durante la quale sfilano circa 2500 confrati incappucciati. La processione presenta i tratti di un vero e proprio corteo funebre in cui sono forti i momenti di filiale devozione alla Vergine Addolorata accompagnata simbolicamente a seppellire il suo divin Figlio. Tutte le confraternite, nel primo pomeriggio del Venerdì santo, secondo il tradizionale ordine, si recano presso la chiesetta dell’Addolorata dove trovano già la Madonna pronta per la processione. Conclusosi il saluto di tutte le confraternite, la processione riprende con il fercolo dell’Addolorata che inizia il suo cammino verso il Duomo dove troverà l’urna del Cristo morto proveniente dalla chiesa del Santissimo Salvatore dell’omonima confraternita. Prima le confraternite e poi i fercoli sfileranno in corteo sino al cimitero della città dove verrà impartita la solenne benedizione con la Spina Santa per poi raggiungere nuovamente il Duomo e da lì i fercoli torneranno nelle rispettive chiese. Sembra quasi di essere catapultati nella Gerusalemme di duemila anni fa attraverso un processo osmotico in cui chiunque partecipa al rito condiziona chi gli sta accanto. La nebbia sembra richiamare l’incenso, le luci si fanno deboli, il silenzio è solamente rotto da tradizionali marce funebri e canti, i volti sono solcati dalla commozione.
Andrea Camilleri, il quale visse un periodo della sua giovinezza ad Enna, ebbe a dire: “la confraternita è o dovrebbe essere un’unione fraterna, un unisono, un coro compatto nella sofferenza patita o nella memoria della sofferenza patita. Quel cappuccio che lascia intravedere solo gli occhi, rende ogni individuo uguale a quello che gli sta accanto, così il dolore torna ad essere individuale, solitario, materia necessaria perché gli uomini non si sentano né diversi, né sordi davanti alle sofferenze altrui”. Ognuno non si sente semplicemente spettatore della vicenda di Cristo e di sua madre ma ne prende parte immedesimandosi.
Cuore della processione, infatti, è senz’altro la presenza dei due simulacri del Cristo morto e dell’Addolorata. Alla loro vista sembra quasi perdersi la connotazione pasquale del mistero celebrato perché in quel momento è giusto abitare il silenzio e il dolore innocente palesati dalla solitudine di quel giovane deposto all’interno di un’urna e dalle lacrime di una madre che vede tragicamente esposto davanti il peso del suo Fiat.
In una terra piena di contraddizioni come quella siciliana, Cristo si rivela l’archetipo di un uomo che subisce i soprusi di una politica a servizio del potere. La croce infatti, diviene il sigillo di una scelta coerente che non accetta compromessi e che rende l’innocente ivi appeso “pane spezzato” per sfamare la fame di giustizia degli amici da lui amati. In quel giovane esangue sembrerebbe proiettato il volto di tutti quei “giusti” che hanno perso la vita nella speranza di un mondo migliore e non c’è da meravigliarsi se in Sicilia si pone più l’accento al venerdì santo piuttosto che alla Pasqua perché espressione di una terra martoriata e sofferente.
Infine la Vergine Addolorata. Nel suo sguardo stravolto dal dolore si legge la larghezza del cuore di Dio che consegna il suo Figlio amato per la redenzione degli uomini. Nel suo lacerato cuore di madre trovano rifugio le ansie, le preoccupazioni e le sofferenze di ogni madre che, davanti a questa madre, continuano a sentirsi eternamente figlie. Il suo fazzoletto rivolto al cielo diviene eco del grido di ogni uomo e la sua mano destra posta all’altezza del ventre richiama la verità che solo l’amore è capace di generare Dio anche nei contesti più tenebrosi.
Un canto tradizionale, magistralmente eseguito durante la processione dal coro polifonico Passio Hennensis, immagina il dialogo tra la Vergine e il Figlio appeso in croce durante il quale Maria esclama: ”Sa chi ti dicu figliu? Scinnitinni ca c’è la matri to ca ti difenni” (Sai cosa ti dico figlio? Scendi che c’è la madre tua che ti difende). Maria difatti, come per Gesù in croce, diviene per ogni uomo a lei consegnato, forza e coraggio anche durante i momenti più bui. Da quella madre ognuno si sente protetto e difeso e attraverso il suo sguardo di fede attinge la speranza in un amore che è più forte della morte (Ct 8,6).
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Foto tratte da: Slow-sicily.com
Video approfondimento: Good Friday in Enna (Sicily) – Slow Sicily