Il 16 Marzo 2022, il Teatro d’arte drammatica dell’oblast’ di Donec’k, più comunemente noto come “Teatro Drama” – è il nome di una compagnia teatrale della città di Mariupol nata nel 1878-; nonché l’appellativo del teatro dove la stessa allestisce i propri spettacoli. L’edificio è divenuto un’immagine iconica dell’assedio alla città, nel più ampio quadro dell’intervento militare russo in Ucraina, quando è stato fatto oggetto di un bombardamento il 16 marzo 2022. Fino alla data citata, il Teatro era sconosciuto all’opinione pubblica (almeno quella occidentale), che dopo le azioni militari la “propaganda mediatica” lo ha fatto diventare un simbolo dello scontro. Quasi istantaneamente o come si dice nel linguaggio social in modo “virale”, tramite i network; il teatro di Mariupol si è trasformato nel luogo ideale della “tifoseria del conflitto”, da dove sono state lanciate le richieste di interventi più stringenti nei confronti dei russi, che avevano violato la struttura culturale più importante della zona.
Anche i centri di potere hanno rilasciato dichiarazioni di sdegno. In prima linea l’Italia che dichiarò tramite il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, l’intenzione di ricostruire il teatro. Si è dibattuto giorni interi su questo tema, lasciando in secondo piano l’aspetto psicologico subito da chi nella zona aveva perso parenti e amici. Le numerose vittime, sono apparse quasi un corollario alla distruzione del teatro, piuttosto che l’elemento fondamentale a cui dare attenzione. I social hanno mostrato una quantità enorme di foto del teatro in piena attività e in tutta la sua superba bellezza, in sovrapposizione alle immagini spettrali della distruzione.
Non scrivo queste riflessioni per esemplificare statistiche, e nemmeno è mia intenzione inserirmi nel dibattito dei fan creati per supportare le parti coinvolte. Ho più volte espresso la ferma condanna della guerra, sulla linea che il Santo Padre Francesco ha tracciato per uscire dall’incubo del conflitto. Come è noto, la posizione del Papa non è stata accolta da nessuna delle parti, che continuano a vitalizzare il conflitto cercando appigli di ogni genere per solidificare le proprie posizioni. Scrivo per dare una prospettiva diversa agli eventi, e soprattutto per cercare di comprendere sul piano culturale i motivi per cui oggi la Russia e l’America combattono una ulteriore battaglia in Ucraina sulle spalle della povera gente, che non sente la necessità della guerra, ma desidera vivere in pace.
Nelle operazioni militari, gli eserciti contendenti dovrebbero rispettare la “Convenzione dell’AIA” che all’articolo 7 parla della “protezione dei beni culturali in corso di conflitto armato”. Sappiamo bene, che in tutte le guerre, tali disposizioni sono letteralmente e materialmente disattese, salvo poi gestire servizi mediatici con i soldati intenti a catalogare i reperti. Partendo da lontano, è necessario fare un cenno beni culturali trafugati in Iraq dopo l’invasione Americana del 2003, nonché alla distruzione di opere d’arte di inestimabile valore storico e il conseguente contrabbando di interi pezzi di edifici e oggetti storici e religiosi (libri, codici, manoscritti, parati liturgici e manufatti di culto, ecc…), che hanno arricchito il mercato nero del Medio Oriente, dei paesi del golfo e dell’occidente. In Iraq, finanche istituti culturali e musei sono stati vittime di furti. Il caso più eclatante è quello del Museo nazionale iracheno di Baghdad: 15.000 reperti archeologici, trafugati. Anche la Siria ha vissuto momenti drammatici: indimenticabili le immagini e i video dei terroristi dell’ISIS che attaccarono e distrussero Palmira, la celeberrima attrazione turistica di una delle antiche città meglio conservate al mondo.
Senza dimenticare il patrimonio artistico che è andato distrutto e trafugato durante la guerra tra Turchia e Armenia, e non ultimo lo scempio avvenuto durante la battaglia degli azeri contro il (Nagorno_Karabak) – Artsakh. Un posto d’onore è purtroppo occupato dall’invasione turca a Cipro, dove nel territorio conquistato sono stati distrutti e trasformati più di 500 edifici sacri. Un patrimonio – ricorda la rivista francescana di Terra Santa -, “che rischia di andare perduto per sempre e costituisce – nelle relazioni umane e politiche tra gli schieramenti – una ferita che non accenna a rimarginarsi; uno dei punti più delicati, per le sue implicazioni di storia, identità e cultura, su cui si confrontano i mediatori che stanno cercando un accordo per la pace a Cipro. Perché se la fede e l’arte sono l’anima di un popolo, l’occupazione turca della parte nord di Cipro ha tentato di cancellare, se non addirittura strappare, alla comunità cristiana locale la sua identità spirituale. Uno scempio a cui si aggiungono le opere trafugate (si parla di 20 mila icone rubate e poi smerciate sul mercato nero del collezionismo d’arte internazionale), affreschi strappati dalle pareti di chiese e monasteri e rivenduti all’estero a collezionisti senza scrupoli”.
Ora sorge naturale la domanda cosa c’entra questa digressione con il teatro di Mariupol? Le guerre, soprattutto quelle definite contro il “terrore”, iniziate dopo l’11 settembre 2001 con il crollo delle torri gemelle a New York, hanno seguito una linea ben precisa, di cui oggi vediamo gli effetti devastanti. Il terrore come è stato combattuto? Quali sono state le ripercussioni nelle nazioni invase? Mi soffermerò ad analizzare uno degli aspetti che si crea nei conflitti. L’attacco ai beni culturali, durante le operazioni di guerra, hanno un obiettivo ben preciso: cancellare con la forza delle armi ciò che rappresenta la storia del paese conteso e dimostrare in tal modo la supremazia dei “conquistatori” o come narra il mainstream i “liberatori“. Quando sopraggiunge lo sdegno dell’opinione pubblica, si corre ai ripari appellandosi ad un generico appiglio alla sicurezza e alla inevitabilità dell’intervento, come è avvenuto per la distruzione del monastero di Montecassino, culla del monachesimo occidentale, durante la seconda guerra mondiale. Il bombardamento cominciò la mattina del 15 febbraio 1944 e ben 142 bombardieri pesanti e 114 bombardieri medi rasero al suolo l’abbazia. La motivazione data dagli alleati era alquanto singolare: avevano il sospetto che le formazioni naziste si trovavano nascoste nella zona del monastero.
Il “modus operandi” di colpire i beni culturali è stato compiuto in Siria dai gruppi terroristici, come anche i talebani in Afganistan quando nel 2001 distrussero le due grandi statue di Buddha del VI secolo. Distruggere significa dare inizio ad un nuovo corso che non deve avere più nulla a che fare con il passato. Negli ultimi anni, non sono solo gli eserciti regolari e i gruppi terroristici ad operare la distruzione del patrimonio storico; naturalmente secondo prospettive diverse ma con i medesimi effetti, ma anche contractor e gruppi specializzati nel saccheggio delle antichità. Collateralmente negli USA è nato il movimento della “cancel culture”, che ha causato la rimozione di statue, la sospensione dai corsi di studio di autori sgraditi ecc… Come nel film “Se mi lasci ti cancello”, la cui protagonista si fa rimuovere il ricordo del fidanzato per non soffrire più. Come dire: “Attento a ciò che dici o fai, perché se mi deludi ti elimino”. Molto semplicemente, chiunque venga accusato – in assenza di un confronto pubblico – di agire o esprimersi in modi politicamente scorretti viene di fatto “annullato” dalla vita sociale. Come testimonia Coleman Sink, professore di lettere dell’Università di Athena (Stati Uniti) costretto a dimettersi per una frase interpretata come razzista. O Charles Negy, docente di psicologia all’Università della Florida, accusato di discriminazione e oggetto di una campagna social con l’hashtag #UCFfirehim, accompagnata da una petizione per il suo licenziamento. Un attacco così violento da spingerlo alle dimissioni dopo 22 anni di insegnamento. E non sono i soli. Le lezioni di criminologia di Mike Adams sono state boicottate con una violenta campagna diffamatoria sui social. Il motivo? Le critiche ai saccheggi seguiti alla morte di George Floyd e l’accusa di “teppismo” al movimento Black Lives Matter. Un odio che lo ha spinto – nonostante la vittoria in tribunale – a ritirarsi e infine al suicidio. Riferendosi alla “cancel culture”, il Papa nel discorso di fine anno al Corpo Diplomatico del 2021, condannò “il pensiero unico costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee”. E ancora: si tratta di “una forma di colonizzazione ideologica che non lascia spazio alla libertà di espressione”. Il rischio, infatti, è che nel tentativo di proteggere le diversità si cancelli ogni forma di individualismo e di libertà di espressione. Non si costruisce il presente rinnegando il passato, ammonì il Pontefice, poiché ogni gesto e parola devono essere interpretati e contestualizzati nel preciso momento in cui avvengono. Dunque, questo è il punto nodale. Tra le conseguenze della guerra combattuta con le armi e appoggiata dai principi culturali di chi la favorisce, l’obiettivo è quello di affermare la superiorità del vincitore sui luoghi simbolo dei conflitti.
A ragione il Generale Bartolini ha affermato: “Nel 2016 c’erano già state le Primavere Arabe in Siria e non per niente la Russia era intervenuta nel 2015 in Siria per fermare un attacco verso la sua area di influenza e successivamente c’è stato l’intervento della Russia che si è ripresa la Crimea. Crimea, Ucraina e Siria sono strettamente connesse e facevano parte secondo me di una strategia per limitare lo spazio di manovra della Russia nel Mediterraneo”. Potremmo dire la “casus belli” è proprio questa. L’area di influenza, passa attraverso i simboli, i monumenti e la cultura. E se si conquistano i simboli allora si raggiunge il potere. Per tale motivo, alcuni monumenti o edifici ricevono attenzione, piuttosto di altri che nonostante rappresentano per la popolazione locale qualcosa di importante e vitale, le devastazioni sono relegate nel dimenticatoio.
A titolo esemplificativo, vorrei proporre alla vostra attenzione quanto avvenuto ad Aleppo durante la battaglia di liberazione della città. La moschea degli Omayyadi di Aleppo era la più grande e la più antica moschea del nord della Siria. I resti in ricostruzione si trovano nel quartiere al-Jalloum dell’antica cittadella di Aleppo, (patrimonio dell’umanità), vicino all’ingresso di Al-Madina Souq. Nella Moschea, secondo la tradizione, sono custoditi i resti di Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, entrambi venerati nell’Islam e nel Cristianesimo. È stata costruita all’inizio dell’VIII secolo d.C. Tuttavia, l’attuale struttura risale all’XI secolo. Il minareto fu costruito nel 1090 e fu anch’esso distrutto durante i combattimenti nella guerra civile siriana nell’aprile 2013. Perché colpire la moschea? Cosa rappresenta? Appena sopra potete trovare la risposta: la moschea è il simbolo della fede islamica che custodisce il corpo di un uomo venerato dai cristiani e dai musulmani. La cancellazione dell’edificio è il risultato chiaro che da quel momento in poi non ci poteva essere più spazio né per i musulmani né per i cristiani. Era un avvertimento non solo agli aleppini, ma al resto del mondo islamico e cristiano. Da ora in poi si doveva scrivere un’altra storia che non doveva avere più nulla a che fare con il passato. Ed ecco ora la linea di collegamento con il Teatro di Mariupol: nel dicembre del 2017, e quindi esattamente 4 anni dopo l’attacco alla moschea, un imprenditore di successo di nome Radwan Khawatmi aleppino di origine, ma da tanti anni residente in Italia, presentò un progetto per la ricostruzione della moschea e dello storico minareto. Dunque, ancora una volta l’Italia come ha fatto per Mariupol, nel 2017 si era resa disponibile per la ricostruzione di un importante monumento religioso danneggiato mortalmente durante un conflitto, dove diverse formazioni militari, paramilitari e terroristiche si sono affrontate per ottenere il controllo della città colpendo il simbolo ancestrale di un popolo. Le promesse di ricostruzione, però si smarriscono nel tempo, e quando si arriva al dunque è difficile ritrovare lo stesso fervore iniziale, in quanto si è perso il momento topico ed emotivo e di conseguenza anche le argomentazioni possono non apparire più in linea con la scelta iniziale a causa del cambiamento di controllo delle zone da parte dei vincitori, i quali magari non corrispondono alle alleanze precostituite.
La domanda finale è questa: l’Italia, alla fine del conflitto favorirà la ricostruzione del Teatro di Mariupol, nonostante oggi si trova sotto il controllo della Russia? La risposta è semplice: le dichiarazioni in tal senso supportate dalla propaganda, non cercano la ricostruzione o l’aiuto umanitario, ma a volte solo l’affermazione delle proprie posizioni e mire geopolitiche, che si concretizzano attraverso l’intervento di condanna e quindi della promessa di ricostruzione. La strada per raggiungere la pace tra i popoli è lunga. Ecco perché nessuno vuole accogliere le parole del Papa. Sono scomode, e non producono la soddisfazione degli interessi di parte. Guardiamo avanti, nell’attesa che possa sorgere un’alba nuova dove la pace possa essere frutto della Verità e della Giustizia.
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