Il confine tra sacro e profano si fa sempre più labile. Impercettibile a tratti. Da tempo ormai sono state sdoganate diverse tematiche. E così, dal cinema alla pubblicità, quello che un tempo era preservato e tenuto lontano da una fruizione decontestualizzata, oggi è quasi un modo per affermare il sacrosanto diritto della libertà d’espressione.
Mi sono chiesto se oggi valga la pena perdere del proprio tempo per formulare una riflessione sugli effetti che hanno pubblicità, gag e sceneggiature che utilizzano il sacro per altri scopi: commerciali e di intrattenimeno. Non c’è una risposta netta. Andando contro il principio di non-contraddizione di aristotelica memoria, posso dire che è bene attivare una coscienza critica e manifestare il proprio pensiero, nell’alveo aureo della tolleranza (che non è accettazione ma sopportazione). Ma allo stesso tempo sarebbe bene non esprimersi e lasciare scivolare tutto nell’oblio, il quel “lascia il tempo che trova”. Perché? Il rischio è quello di ritrovarsi a gettare benzina sul fuoco, alimentando quel pericoloso “rogo” (parola non casuale) della polemica.
L’uso del sacro per scopi commerciali ha un aspetto positivio: ci chiama in causa su una questione centrale. Cosa è che oggi valorizziamo come società? E ancora, quali sono gli equilibri che desideriamo mantenere tra il nostro bisogno di significato spirituale e le dinamiche del mercato?
Di certo se da una parte fa capolino il desiderio di profitto, dall’altro c’è il rispetto per la diversità che viene in qualche modo messo in secondo piano. Da tempo si assiste a una banalizzazione o una commodificazione della spiritualità. Un processo che, senza difese d’ufficio, è partito forse proprio da chi la spiritualità vive e professa in modo distorto.
Nel tempo si sono ridicolazzati spazi liturgici e si è passati a una celebrazione sempre più vicina alle modalità di intrattenimento tipica dei villaggi turistici. Magari anche con un pizzico di ingenuità. Ma si sa dove può portare la strada delle buone intenzioni.
Oggi il luogo che urta le sensibilità religiose è proprio il luogo in cui la spiritualità prende forma. E la più ampia erosione del senso di sacralità è avvenuta in questi ultimi anni, complici i social, proprio all’interno dei luoghi sacri.
In fondo dovremmo dire grazie a queste pubblicità che ridicolizzano il sacro. Perché in qualche modo e in qualche fascia di popolazione si risveglia qualcosa. L’uso di simboli religiosi in contesti non tradizionali e decontestualizzati crea, inevitabilmente uno squilibrio tra la profondità e la complessità della religiosità e il rispetto delle opinioni e credenze altrui.
Ma perché allora non dovremmo occuparci di questo fenomeno, di questa ridicolizzazione del sacro? Semplicemente perché si alimenta il flusso di spettatori che magari non hanno visto quel determinato spot, gag o film. Andando a “ingrassare” così le casse di chi ha investito su quella produzione. “Purché se ne parli”, ed è già un successo. Come è già successo.
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