La Liturgia della Parola delle domeniche di Pasqua è spesso dominata da brani desunti da quella grande collezione di discorsi di Gesù che l’Evangelista Giovanni pone nella cornice dell’ultima sera terrena del Signore. Alla vigilia di quelle ore di profonda amarezza e desolazione il Signore, apre il segreto della sua coscienza ai discepoli: “non vi chiamo servi ma amici”.
Gesù, insistite molto sull’importanza dell’”amarsi a vicenda, come lui ha amato noi”. Questa predicazione rappresenta alla fine dei conti, il coronamento di tutta la sua missione: il Maestro infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile; ai pascoli della vita eterna. Questo “esodo” verso la patria celeste, che il Maestro ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per riportarci a Dio. È per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio. Proprio per questo il Padre si è compiaciuto in Lui e lo ha “sovra-esaltato” (Fil 2,9), riconsegnando al Risorto, la pienezza della sua gloria, ma ora con la nostra umanità redenta. Dio nell’uomo–l’uomo in Dio: questa è ormai la verità non teorica ma reale. Perciò la speranza cristiana, fondata in Cristo, non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, “in essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita” (Eb 6,19), un’àncora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto”.
Dunque, Gesù, vuole superare il contrasto tra Legge ed Amore, perché la legge che porta a compimento non è una fredda norma da osservare sotto la minaccia della sanzione ma è la proposta di un impegno totale di vita. In realtà, leggendo attentamente le parole che il Signore consegna in questo brano ai discepoli, fa intuire che una “religione” che si regge solo sulla legge è tutto sommato, meno esigente di quella che fa appello all’Amore. Una legge senza amore, porta all’esclusione, alla vendetta, all’odio, alla separazione.
La caratteristica dell’amore cristiano è da intendere nel suo aspetto “paradossale”. Esso nasce dall’Infinito e tende verso l’Infinito modellandosi sull’amore stesso di Dio e del Cristo. Il “livello” del nostro amore deve avere come misura quella proposta dall’amore di Cristo, in una donazione senza riserve e limiti, pronta a cancellare ogni forma di egoismo, tesa verso quella vetta “più grande che è il dare non solo la vita per i propri amici, ma anche per i “nemici”.
L’Amore, genera “figli di Dio” amici di Cristo; cancella la paura che è propria del “servo” per far sbocciare l’intimità filiale e amicale. Da qui si sviluppa la vocazione apostolica. È Dio stesso che sceglie per amore il discepolo e lo spinge ad entrare nel mondo per “portare frutto”, sostenendolo sempre: “il Signore protegge i suoi eletti”. Ora nel nuovo testamento, i “scelti”, gli “eletti”, sono tutti i cristiani (Rm 8,33; Col 3,12; 1Pt 2,4): gli apostoli sono il modello più alto in cui tutti i discepoli del Signore si devono rispecchiare. Come loro anche noi dobbiamo uscire dal cenacolo verso le periferie del mondo che non sono solo quelle geografiche ma anche quelle dell’anima, per annunziare l’amore che Cristo ha acceso nei cuori e che porta alla pace. Il teologo ortodosso Evdokimov, in questa direzione invita il cristiano a “non conservare l’amore e la parola del Cristo come in un santuario, che una grata separa dalla casa e dalla strada!”.
Per dodici volte all’interno del testo evangelico di oggi risuona il “tema dell’amore”: un tema caro per gli uomini di ogni tempo, ma che oggi ha un significato del tutto particolare: viviamo i conflitti, le violenze, le divisioni nell’ottica della tifoseria di parte; trattiamo i popoli in guerra secondo le alleanze politiche e religiose più che metterci alla sequela delle parole di Gesù, sull’amore. Tutto ciò accentua le distanze, innalza muri, crea steccati difficili da superare. Se manca l’Amore che Cristo ci ha insegnato, il mondo andrà sempre di più verso la sua autodistruzione. Mentre noi sappiamo che il mondo è destinato a diventare il “giardino di Dio”, dove ogni uomo vive in fraternità e pace. Non possiamo sempre rivendicare, non possiamo eternamente sentirci vittime dei cattivi! I continui appelli per la pace in Medio Oriente, e per i paesi dilaniati da ostilità senza fine; possono avere una risposta chiara, nella misura in cui tutti ci impegniamo a “credere” che l’amore copre e sana tutte le ferite, che l’amore non ricerca rivendicazioni di parte, che l’amore vero passa attraverso la sofferenza, il dolore e la croce. Dinanzi alla morte di tanti innocenti, la risposta, alla luce del Vangelo dell’amore, non può essere la guerra. L’umanità anela alla pace, quella pace che se non è sostanziata dall’amore, diventa solo pretesto per sopraffare i più deboli. Che nel mondo, in ogni angolo di morte e di speranza; nei crocicchi dei nostri incontri possano risuonare le parole di Cristo: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Solo così sarà Pace!
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