Dopo le ultime grandi feste iniziate nel tempo pasquale con la Resurrezione di Gesù dai morti, e proseguite con l’Ascensione al cielo, con la Pentecoste, con la Santa Trinità ed infine con il Corpus Domini; la liturgia odierna presenta alla meditazione dei fedeli, il Vangelo di Marco. La vita pubblica del Signore, non è stata esente da ostacoli, critiche e incomprensioni. Il Maestro, ha dovuto affrontare opposizioni, contestazioni, tradimenti e isolamenti. Addirittura, viene persino “redarguito” dai suoi familiari! Quante volte, chi annuncia la Verità, viene emarginato, rifiutato, discriminato e rifiutato! Talvolta, vorremmo trattenere Gesù, nasconderlo, ritirarlo dalla scena pubblica perché non disturbi troppo l’equilibrio sociale, perché non sia elemento di eccessivo sconvolgimento nei rapporti così delicati e instabili fra i vari protagonisti di questa convulsa umanità.

Il brano che domina la liturgia ordierna, è costituito da tre scene distribuite in una progressione di intensità e tutte orientate a dare una definizione del rapporto che si stabilisce tra Gesù e alcuni personaggi-tipo che si presentano davanti a Lui.  La prima scena (vv 20-21), mette in azione i parenti carnali di Gesù. La loro reazione è quella della cecità e del perbenismo: “è fuori di sé”. Questa famiglia appare radicata più su schemi culturali precostituiti, che su un vero amore e rispetto tra parenti. Nella seconda scena (vv 22-30) troviamo gli scribi giunti da Gerusalemme. Essi incarnano il rifiuto totale verso il Messia: “Gesù è indemoniato, è l’incarnazione del male” –  dicono con invidia -. E tale definizione attraverso le mini-parabole, denuncia con violenza questo peccato imperdonabile come “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Esso è il rifiuto ostinato di riconoscere i segni e l’azione di Dio; è il chiudere gli occhi alla positività della predicazione profetica e delle attività di Gesù, interpretandole come azioni sataniche. Chi giunge a questo livello di odio e di rifiuto ha quasi sigillato il suo destino e la sua condanna definitiva, è la reazione estrema che cancella la luce dichiarandola tenebra. Si tratta dell’oscurità, che combatte il bene definendolo male. Quante volte abbiamo assistito a questo procedimento calcolato, perverso e diabolico: mentre vediamo  scorrere il male, la propaganda, i media, le ideologie politiche e culturali insistono quasi con violenza psicologica a convincere l’opinione pubblica che non si tratta di “male” ma di “bene” di cui non si può fare a meno. Usare le parole e svuotarle del loro significato, per raggiungere i propri scopi, è quanto di malvagio si possa fare.

La terza scena (vv 31-35) che, in antitesi con la precedente, è colma di luce e di speranza. Ora sono protagonisti quelli che intuiscono in profondità il mistero di Cristo, il Messia, il Salvatore di Isarele. Per capirlo non sono sufficenti i legami familiari o affettivi e amicali, ma sono essenziali innanzitutto quelli interiori. Il Maestro conia per l’occasione una bellissima definizione del discepolo: “egli è chi compie la volontà di Dio”. Dunque, questo diventa il “criterio” della parentela di Gesù: “ecco la mia madre e i miei fratelli”. Sant’Agostino in un commento aveva chiosato: “Maria, la Madre di Gesù, non è solo Madre perché ha generato il Figlio dell’Altissimo nella carne, ma soprattutto perché per prima ha compiuto la volontà di Dio”. Così il Signore consegna il “metodo” per comprendere il vero significato della parentela, non solo quella di sangue, ma anche quella che unisce spiritualemente a Dio: “chi fa la volontà del Padre mio conosce che questo insegnamento viene da Dio”. Gesù non contesta la famiglia, anzi vorrebbe estendere a livello di massa le relazioni calde e buone della casa, moltiplicarle all’infinito, offrire una abitazione a tutti, accasare i figli dispersi: “chi fa la volontà del Padre, questi è per me madre, sorella, fratello…” Assediato, Gesù non si ferma, non torna indietro, prosegue il suo cammino. Ma dove Cristo passa sboccia la vita, la speranza e l’amore; in definitiva, fiorisce il regno di Dio.

Diversamente da certe teorie giudiache del suo tempo, sull’impossibilità di rimettere i peccati, Gesù è venuto ad annunziare il perdono di Dio; egli dichiara spesso di non essere venuto a condannare ma a perdonare le miserie dell’uomo. C’è però, una sorta di barriera che non è in Dio e nel suo desiderio di perdono, bensì nell’uomo e nella sua ostinazione ottusa e senza vie di uscita che lo porta all’autodistruzione. Quando vediamo il bene compiuto da Dio per mezzo di Gesù Cristo, e non lo accettiamo, anzi lo attacchiamo come il male assoluto, come la privazione della libertà, e ancora peggio quando si scorge nel Vangelo un attacco al potere e alle poltrone; tutto questo è frutto della tentazione di colui che divide. Si tratta di una cecità voluta e cosciente; è una bugia convinta e professata, è una ostinazione nel male pur sapendo che è male. Chi giunge a questo livello di odio e di falsità ha già segnato il suo destino e la sua condanna. Già il profeta Isaia, aveva riservato una sorta maledizione a coloro che “chiamano bene il male e male il bene, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro” (Is 5,20).

Nella tradizione liturgica copta, mentre il celebrante infonde l’incenso, innalza a Dio una preghiera, affinché il Signore possa guarire l’uomo “dalle malattie dell’anima e del corpo”. Ed è proprio questo il senso della preicope evangelica della X domenica del tempo ordinario: Cristo è venuto per sanare, per purficare, per perdonare, e soprattutto per indicare la via della salvezza:

يا ملك السلام، أعطنا سلامك واغفر خطايانا. إبعاد أعداء الكنيسة وحراستها لئلا تفشل إيمانويل إلهنا بيننا في مجد الآب والروح القدس. باركنا وطهر قلوبنا وشفي أمراض الروح والجسد. نحن نعشقك، يا المسيح، مع أبيك الصالح والروح القدس، لأنك أتيت وأنقذتنا

“O Re della pace, dacci la tua pace e perdona i nostri peccati. Allontana i nemici della Chiesa e custodiscila, affinché non venga meno. L’Emmanuele nostro Dio è in mezzo a noi nella gloria del Padre e dello Spirito Santo. Ci benedica e purifichi il nostro cuore e risani le malattie dell’anima e del corpo. Ti adoriamo, o Cristo, con il Tuo Padre buono e lo Spirito Santo, perché sei venuto e ci hai salvati”.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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