Il Vangelo di questa domenica, Mc 5,21-43: [Ἠκούσατε ὅτι ἐρρέθη τοῖς ἀρχαίοις· Οὐ φονεύσεις· ὃς δ’ ἂν φονεύσῃ, ἔνοχος ἔσται τῇ κρίσει. ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν ὅτι πᾶς ὁ ὀργιζόμενος τῷ ἀδελφῷ ⸀αὐτοῦ ἔνοχος ἔσται τῇ κρίσει· ὃς δ’ ἂν εἴπῃ τῷ ἀδελφῷ αὐτοῦ· Ῥακά, ἔνοχος ἔσται τῷ συνεδρίῳ· ὃς δ’ ἂν εἴπῃ· Μωρέ, ἔνοχος ἔσται εἰς τὴν γέενναν τοῦ πυρός. ἐὰν οὖν προσφέρῃς τὸ δῶρόν σου ἐπὶ τὸ θυσιαστήριον κἀκεῖ μνησθῇς ὅτι ὁ ἀδελφός σου ἔχει τι κατὰ σοῦ, ἄφες ἐκεῖ τὸ δῶρόν σου ἔμπροσθεν τοῦ θυσιαστηρίου καὶ ὕπαγε πρῶτον διαλλάγηθι τῷ ἀδελφῷ σου, καὶ τότε ἐλθὼν πρόσφερε τὸ δῶρόν σου. ἴσθι εὐνοῶν τῷ ἀντιδίκῳ σου ταχὺ ἕως ὅτου εἶ ⸂μετ’ αὐτοῦ ἐν τῇ ὁδῷ⸃, μήποτέ σε παραδῷ ὁ ἀντίδικος τῷ κριτῇ, καὶ ὁ ⸀κριτὴς τῷ ὑπηρέτῃ, καὶ εἰς φυλακὴν βληθήσῃ· ἀμὴν λέγω σοι, οὐ μὴ ἐξέλθῃς ἐκεῖθεν ἕως ἂν ἀποδῷς τὸν ἔσχατον κοδράντην. Ἠκούσατε ὅτι ἐρρέθη· Οὐ μοιχεύσεις. ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν ὅτι πᾶς ὁ βλέπων γυναῖκα πρὸς τὸ ἐπιθυμῆσαι αὐτὴν ἤδη ἐμοίχευσεν αὐτὴν ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτοῦ. εἰ δὲ ὁ ὀφθαλμός σου ὁ δεξιὸς σκανδαλίζει σε, ἔξελε αὐτὸν καὶ βάλε ἀπὸ σοῦ, συμφέρει γάρ σοι ἵνα ἀπόληται ἓν τῶν μελῶν σου καὶ μὴ ὅλον τὸ σῶμά σου βληθῇ εἰς γέενναν.  καὶ εἰ ἡ δεξιά σου χεὶρ σκανδαλίζει σε, ἔκκοψον αὐτὴν καὶ βάλε ἀπὸ σοῦ, συμφέρει γάρ σοι ἵνα ἀπόληται ἓν τῶν μελῶν σου καὶ μὴ ὅλον τὸ σῶμά σου ⸂εἰς γέενναν ἀπέλθῃ⸃. Ἐρρέθη ⸀δέ· Ὃς ἂν ἀπολύσῃ τὴν γυναῖκα αὐτοῦ, δότω αὐτῇ ἀποστάσιον.  ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν ὅτι ⸂πᾶς ὁ ἀπολύων⸃ τὴν γυναῖκα αὐτοῦ παρεκτὸς λόγου πορνείας ποιεῖ αὐτὴν ⸀μοιχευθῆναι, καὶ ὃς ἐὰν ἀπολελυμένην γαμήσῃ μοιχᾶται. Πάλιν ἠκούσατε ὅτι ἐρρέθη τοῖς ἀρχαίοις· Οὐκ ἐπιορκήσεις, ἀποδώσεις δὲ τῷ κυρίῳ τοὺς ὅρκους σου. ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν μὴ ὀμόσαι ὅλως· μήτε ἐν τῷ οὐρανῷ, ὅτι θρόνος ἐστὶν τοῦ θεοῦ· μήτε ἐν τῇ γῇ, ὅτι ὑποπόδιόν ἐστιν τῶν ποδῶν αὐτοῦ· μήτε εἰς Ἱεροσόλυμα, ὅτι πόλις ἐστὶν τοῦ μεγάλου βασιλέως· μήτε ἐν τῇ κεφαλῇ σου ὀμόσῃς, ὅτι οὐ δύνασαι μίαν τρίχα λευκὴν ⸂ποιῆσαι ἢ μέλαιναν⸃. ἔστω δὲ ὁ λόγος ὑμῶν ναὶ ναί, οὒ οὔ· τὸ δὲ περισσὸν τούτων ἐκ τοῦ πονηροῦ ἐστιν. Ἠκούσατε ὅτι ἐρρέθη· Ὀφθαλμὸν ἀντὶ ὀφθαλμοῦ καὶ ὀδόντα ἀντὶ ὀδόντος. ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν μὴ ἀντιστῆναι τῷ πονηρῷ· ἀλλ’ ὅστις σε ⸀ῥαπίζει ⸀εἰς τὴν δεξιὰν ⸀σιαγόνα, στρέψον αὐτῷ καὶ τὴν ἄλλην· καὶ τῷ θέλοντί σοι κριθῆναι καὶ τὸν χιτῶνά σου λαβεῖν, ἄφες αὐτῷ καὶ τὸ ἱμάτιον·1καὶ ὅστις σε ἀγγαρεύσει μίλιον ἕν, ὕπαγε μετ’ αὐτοῦ δύο.  τῷ αἰτοῦντί σε ⸀δός, καὶ τὸν θέλοντα ἀπὸ σοῦ δανίσασθαι μὴ ἀποστραφῇς. Ἠκούσατε ὅτι ἐρρέθη· Ἀγαπήσεις τὸν πλησίον σου καὶ μισήσεις τὸν ἐχθρόν σου];  presenta due  miracoli compiuti da Gesù, descrivendoli quasi come una sorta di marcia trionfale verso la vita.

“Dio non gode per la rovina del viventi, egli ha creato tutto per l’esistenza”, [ὅτι ὁ θεὸς θάνατον οὐκ ἐποίησεν οὐδὲ τέρπεται ἐπ’ ἀπωλείᾳ ζώντων]. Questa stupenda dichiarazione del libro della Sapienza, cronologicamente uno degli ultimi scritti dell’Antico Testamento steso probabilmente in lingua greca ad Alessandria di Egitto, può essere quasi la sigla spirituale che accompagna la lettura del lungo resoconto di Marco dei due miracoli intrecciati tra loro, quello della risurrezione della figlia di Gairo capo della sinagoga di Cafarnao, e la storia della donna colpita da emorragie.

Molto interessante, poter riflettere come abbiamo fatto nella rubrica commento in lingue, sul significato della morte nella tradizione ebraica e islamica. Possiamo trovare sia nell’Ebraismo che nell’Islam, dei punti fondamentali che aiutano a camminare e a crescere insieme come fratelli. Con tante sfumature diverse, è possibile recuperare una sintesi tra le diverse fedi, con l’affermazione di Gesù: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” [θεὸς δὲ οὐκ ἔστιν νεκρῶν ἀλλὰ ζώντων, πάντες γὰρ αὐτῷ ζῶσιν], (cfr. Luca 20,38). Di seguito i link di commento in lingua ebraica e araba.

Commento in lingua ebraica
Commento in lingua araba

Come accennato, l’Evangelista Marco, narra di un certo Giairo, uno dei capi della sinagoga, che va incontro a Gesù e lo supplica di andare a casa sua perché la figlia di dodici anni sta morendo. E’ appunto nella cornice vociante ed affollata di questa cittadina del lago di Tiberiade, punto di riferimento fondamentale durante la prima fase della missione del Signore, che sono collocati i due episodi. Gairo, percosso dalla tragedia, diviene uno dei tanti infelici che circondano il Cristo: si getta ai suoi piedi, lo suppilca con insistenza,  gli esprime la sua assoluta fiducia, pur non essendo un suo seguace. E’ la rappresentazione dell’uomo nudo, libero dalle convenzioni e dalle autodifese, dalle sovrastrutture ideologiche e dall’orgoglio, perché il dolore fa passare in secondo piano dignità, diritti e prestigio e rende tutti più semplici, sinceri, spontanei. In contrappunto, troviamo la folla chiassosa che segue Gesù e Gairo; per curiosità e in attesa di uno “spettacolo”, senza precedenti, avendo sentito parlare dei prodigi compiuti da questo “grande profeta”. Appena si sparge la notizia della morte della ragazza, l’interesse diminuisce; anzi, per la folla non è più il caso di continuare a tener viva la speranza. Forse ora Gesù non serve più, o forse nel cuore dei presenti, si fa spazio a qualcosa di inaudito e incofessabile. Nella folla, si intuisce il volto della superficialità che passa da un atteggiamento all’altro senza coerenza, che ama il risultato immediato, che non sa sperare contro la speranza come Abramo. Non per nulla, si mettono a “deridere”, il Figlio di Dio.

Dunque, Gesù accetta e va con lui; ma, lungo la strada, giunge la notizia che la ragazza è morta. Possiamo immaginare la reazione di quel papà. Gesù però gli dice: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Arrivati a casa di Giairo, il Maestro fa uscire la gente che piangeva – c’erano anche le donne che urlavano forte – ed entra nella stanza solo coi genitori e i tre discepoli, e rivolgendosi alla ragazza defunta gli ordina: “Fanciulla, io ti dico: alzati!”. E subito la ragazza si alza, come svegliandosi da un sonno profondo. A compimento del miracolo, Gesù emerge in tutta la sua signoria divina. Il suo è un gesto solenne, che per certi aspetti, ci fa pensare al Dio creatore di Michelangelo nella Cappella Sistina (Città del Vaticano, Roma), che con il suo dito chiama alla vita il primo uomo: Adamo.

Nella figlia di Giario, si incarna qualcosa in più di una semplice miracolata: essa da ora innanzi è una “risorta”. Questa parola-affermazione nel liguaggio neotestamentario ha risonanze particolari che vanno oltre la semplice rianimazione di un cadavere. E’ la partecipazione alla resurrezione di Cristo, alla sua vita divina, all’eterna comunione con Dio. Per usare il linguaggio dei Padri della Chiesa, potremmo dire che per il cristiano la morte è un sonno e la resurrezione è un risveglio nel girono perfetto del Signore.

Nella lettura evangelica, Marco inserisce un altro miracolo: la guarigione di una donna che soffriva di emorragie che viene sanata appena tocca il mantello di Gesù. Qui colpisce il fatto che la fede di questa donna “ruba”, la potenza salvifica divina che c’è in Cristo, il quale, sentendo che una forza “era uscita da lui”, cerca di capire chi sia stato. E quando la donna, con tanta vergogna, si fa avanti e confessa tutto, Lui le dice: “Figlia, la tua fede ti ha salvata”. 

Si tratta di due racconti ad incastro, con un unico centro: la fede; e mostrano Gesù come sorgente di vita, come Colui che ridona la vita a chi si fida pienamente di Lui. I due protagonisti, cioè il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù eppure vengono esauditi per la loro fede. Hanno fede nel Nazareno. Da questo comprendiamo che sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto. Per avere accesso al suo cuore, c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui, redentore e salvatore dell’umanità. E’ lecito chiedersi: sentiamo il bisognoso di guarigione? E, se avvertiamo questa necessità, abbiamo fede in Gesù? Il Signore, va a scoprire queste persone tra la folla e le toglie dall’anonimato, le libera dalla paura di vivere e di osare. Lo fa con uno sguardo e con una parola che li rimette in cammino dopo tante sofferenze e umiliazioni. Anche noi siamo chiamati a imparare e a imitare queste parole che liberano e questi sguardi che restituiscono, a chi ne è privo, la voglia di vivere. 

Possiamo concludere, dicendo che nelle due storie del padre disperato e della donna malata, si intrecciano i temi della fede e della vita nuova che Gesù è venuto ad offrire all’umanità. Il maestro è il Signore, e davanti a Lui la morte fisica è come un sonno: non c’è motivo di disperarsi. Un’altra è la morte di cui avere paura: quella del cuore indurito dal male! Quando sentiamo di avere il “cuore mummificato”, dobbiamo avere tanta paura, perché stiamo precipitando nel regno della morte e delle tenebre. Questa è la morte del cuore, e l’unico rimedio è quello di lasciarsi purificare da Dio. Anche il “cuore mummificato”, per il Signore non è mai l’ultima parola, perché Lui ha portato nel mondo l’infinita misericordia del Padre. E anche se siamo caduti in basso, la sua voce ci raggiunge e ci rassicura: “Vai. Coraggio, non temere, alzati!”. Amen!

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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