إن فكرة الشهادة (وبالتالي مهمة إعلان القرآن) في الإسلام تثير على الفور الشهداء أو المهنة أو (حرفياً) «شهادة» الإيمان التي يصبح المرء بواسطتها مسلماً والتي يرددها كل مؤمن طوال حياته، لدرجة أنها تنتهي إلى وصف الهوية نفسها: «لا إله إلا الله ومحمد رسول الله». وهذه المهنة – شهادة الإيمان لا تظهر في هذا الشكل المكثف في القرآن، حتى وإن كانت منتشرة في جميع أنحاء النص، يمكن العثور على جميع العناصر المكونة له

ويجب على من يعتنق الإسلام أن ينطق بهذه الصيغة أمام الشهود، إن أمكن أمام قاض مسلم، وهو القاضي، فيعلن صراحة مرتين: “أشهد له: لا إله إلا الله؛ وأشهد أن: محمد رسول الله “. وهكذا، فإن هذه المهنة الإيمانية، التي تتجلى في سياق قانوني، تجمع بين المجالين أو المجالين الدلاليين اللذين يوجد فيهما فعل «شاهد» (شهداء) مع مشتقاته في القرآن (شاهد، شهداء؛ شاهد، شاهد؛ الشهود الشهداء، الشاهد): المجال القانوني ومجال الإيمان

ويتعلق فعل «الشاهد»، الذي ينطبق على السياق القضائي، مع ما يترتب عليه من نتيجة شرهة، أساسا بمسألة عدد ونوعية الشاهد أو الشهود اللازمين في حالات معينة وطرائق الإدلاء بالشهادة. لكن ليس الجانب القانوني للشهادة هو ما نريد أن نتطرق إليه. في المجال الديني المطلق، الإيمان، أول الشهادات هي ما يقدمه الله لنفسه. ترديد سفر الخروج، ولكن بصيغة تذكرنا بإشعياء (“أليس أنا الرب؟ وخارجي لا يوجد إله آخر؛ الله الصالح والمخلص ليس خارجي. […]. أنا الله، لا يوجد غيره “- هو 45، 21-22)؛ يشهد الله أمام موسى، أمام الأدغال المحترقة: «أنا الله لا إله إلا أنا» (20:14). وهذا هو السبب في أن القرآن يعطي الله اسم «مؤمن» (مؤمن؛ 59، 23)، والذي يجب أن يُفهم على أنه «من يشهد بصدقه، من ينطق بشهادة الإيمان بنفسه»

من جانب الرجال، يعود شاهد الإيمان إلى بداية التاريخ، عندما اختتم الله ميثاق مع الأجيال البشرية الأولى، مما جعلهم يعترفون بسيادته، في شهادة شفهية: “وعندما سحب ربك من حقائب أولاد آدم كل ذريتهم وجعلهم يشهدون على أنفسهم:” ألست، سأل، ربك؟ ” فأجابوا: «نعم، نشهد ذلك!» (7,172). عندما ينطق المؤمنون المسلمون الشاهدة، فإنهم يعيدون تنفيذ شهادة العهد الأصلي بينما يشهدون في نفس الوقت على المعرفة الفطرية لله التي وضعها فيهم بخلقهم: «قوموا وجهكم للدين الحنيف، في طهارة الإيمان» (30:30)

يوجد معنى الشهداء «لا إله إلا الله» في هذا الشكل الدقيق فقط في مقطعين من القرآن (37، 35 و47، 19)، ولكن هناك متغيرات بنفس المعنى: «لا إله إلا هو/أنا/أنت» (2، 163؛ 16, 2; 21, 87)

والتأكيد، بكل أشكاله، على التوحيد هو بلا شك الموضوع الذي يدور حوله القرآن كله. ولكن لأن الرجال يقعون باستمرار في ظلام النسيان والشرك، فإن الله يرسل أنبيائه باستمرار لإعادتهم إلى الإيمان، «يذكرهم» بالتوحيد الخالص الذي شهدوا عليه وقت العهد الأصلي. لذلك، يصبح الإيمان بصدق رسول الله ورسالته لا ينفصل عن الإيمان بالله: فالشاهد على الإيمان يوحد بالضرورة العناصر الثلاثة. وهذا موجود (مع إضافة الملائكة، بالتأكيد كوسطاء للكلمة، بين الله والنبي) في الآية التالية: «يؤمن رسول الله [محمد] بما أوحى إليه ربه، وهكذا يؤمن جميع المؤمنين بالله وملائكته وكتبه ورسله» (2:285)

إن الربط بين الشهادة التي أُعطيت لتفرد الله والشهادة التي أُعطيت لصدق النبي لا يزال قائماً في القرآن لأن في كتاب الإسلام الكريم عهداً ثانياً هو العهد المسمى. «الأنبياء» التي من خلالها يجعل الله جميع الأنبياء يشهدون على الاعتراف المسبق بنبوة محمد: “وعندما عقد الله عهدا مع الأنبياء قائلا: “هذا كتاب وحكمة أعطيتكم إياها: ثم يتم إرسال رسول إليك لتأكيد الوحي الذي لديك بالفعل. صدقوه ودعموه “. فقال مرة أخرى، «هل تؤكد وتقبل عهدي على هذا الشرط ؟» قالوا، «نحن نقف!» فقال: «أنا وشاهد نشهد معكم»

في التقاليد المسيحية، تنبع مهمة الشهود، قبل كل شيء، من اللقاء مع ابن الله، يسوع المسيح. في الواقع، يروي إنجيل الأحد (مرقس 6: 7-13) اللحظة التي يرسل فيها يسوع التلاميذ الاثني عشر في مهمة. بعد مناداتهم بالاسم واحدًا تلو الآخر، «حتى يكونوا معه»، يستمعون إلى كلماته ويراقبون إيماءاته للشفاء، يستدعيهم الآن مرة أخرى «لإرسالهم اثنين في اثنين» إلى القرى حيث كان على وشك الذهاب. إنه نوع من «التدريب» على ما سيدعون إليه بعد قيامة الرب بقوة الروح القدس

تدعو هذه الحلقة من الإنجيل المؤمنين إلى الشهادة، في مختلف مجالات الحياة، على إنجيل يسوع المسيح ومحبة الله لشعبه. هذه المهمة حقيقية فقط بدءًا من مركزها الثابت وهو يسوع. إنها ليست مبادرة من المؤمنين الأفراد أو من مجموعات أو حتى من مجموعات كبيرة، لكنها مهمة الكنيسة الموحدة بشكل لا ينفصم لربها. لا يوجد مسيحي يعلن الإنجيل «بمفرده»، ولكن أرسلته الكنيسة التي تلقت التفويض من المسيح نفسه فقط. ان المعمودية هي بالتحديد التي تجعلنا مرسلين. فالشخص المعتمد الذي لا يشعر بالحاجة الى اعلان الانجيل، اعلان يسوع، ليس مسيحيا صالحا. ونحن جميعا مدعوون إلى أن نعلن في الحق، كلمة الله، لمساعدة العالم على العيش في محبة وسلام ومصالحة

Testimoniare la presenza di Dio a tutti gli uomini

L’idea di testimonianza (e quindi la missione di annunciare il Corano) nell’Islam evoca infatti immediatamente la shahâda, la professione o (letteralmente) la “testimonianza” di fede per mezzo della quale si diventa musulmani e che ogni credente ripete lungo tutta la propria esistenza, al punto che essa finisce per caratterizzarne l’identità stessa: “Non vi è dio se non Dio e Muhammad è l’Inviato di Dio”. Tale professione-testimonianza di fede non compare in questa forma condensata nel Corano, anche se, disseminati nel testo, si possono ritrovare tutti gli elementi che la compongono.

Chi si converte all’Islam deve pronunciare questa formula davanti a dei testimoni, se possibile davanti a un giudice musulmano, il qâdhî, dichiarando esplicitamente due volte: “Lo testimonio che: non vi è dio se non Dio; e io testimonio che: Muhammad è l’Inviato di Dio”. Così pronunciata in un contesto giuridico, tale professione di fede riunisce i due ambiti o campi semantici nei quali si trovano, nel Corano, il verbo “testimoniare” (shahâda) con i suoi derivati (testimonianza, shahâda; testimone, shâhid; testimone-martire, shahîd): l’ambito giuridico e quello della fede.

Applicato all’ambito giuridico, il verbo “testimoniare”, con il suo corollario di “testimone” (shâhid), riguarda essenzialmente la questione del numero e della qualità del o dei testimoni richiesti in certe situazioni e le modalità della testimonianza. Ma non è l’aspetto giuridico della testimonianza quello su cui vogliamo soffermarci. Nell’ambito propriamente religioso, quello della fede, la prima di tutte le testimonianze è quella che Dio rende a se stesso. Riecheggiando il Libro dell’Esodo, ma in una formula che ricorda piuttosto Isaia (“Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro Dio; Dio giusto e salvatore non c’è fuori di me. […]. Io sono Dio, non ce n’è altri” – Is 45, 21-22); Dio testimonia davanti a Mosè, dinanzi al roveto ardente: “In verità Io, Io sono Dio, non v’è altro dio che Me!” (20,14). Questa è la ragione per la quale il Corano dà a Dio il nome di “credente” (mu’min; 59, 23), che va inteso come “colui che testimonia della sua propria veridicità, colui che pronuncia la testimonianza di fede in sé stesso”.

Dal lato degli uomini, la testimonianza di fede risale ai primordi della storia, quando Dio concluse un patto (mîthâq) con le prime generazioni umane, facendo loro riconoscere la sua signoria, in una testimonianza orale: “E quando il tuo Signore trasse dai lombi dei figli d’Adamo tutti i lor discendenti e li fece testimoniare contro se stessi: “Non sono Io, chiese, il vostro Signore?” Ed essi risposero: “Sì, l’attestiamo!” (7,172). Quando i credenti musulmani pronunciano la shahâda, riattualizzano la testimonianza del patto originale mentre al tempo stesso attestano la conoscenza innata di Dio che Egli ha deposto in loro creandoli: “Drizza quindi il tuo volto alla vera Religione, in purità di fede” (30, 30).

Il senso della shahâda “non vi è dio se non Dio” si ritrova in questa forma precisa solo in due passi del Corano (37, 35 e 47, 19), ma si danno varianti con lo stesso significato: “Non vi è dio se non Lui/Me/Te” (2, 163; 16, 2; 21, 87).

E l’affermazione, in tutte le sue forme, del monoteismo è senza discussione il tema attorno a cui ruota tutto il Corano. Ma poiché gli uomini ricadono costantemente nelle tenebre dell’oblio e del politeismo, Dio invia loro continuamente i suoi profeti per ricondurli alla fede, “ricordando” loro il puro monoteismo cui hanno reso testimonianza al momento del patto originale. Pertanto, la fede nella veridicità dell’Inviato di Dio e del suo Messaggio diventa inseparabile dalla fede in Dio: la testimonianza di fede riunisce necessariamente i tre elementi. E tali si ritrovano (con l’aggiunta degli angeli, certamente quali mediatori della Parola, tra Dio e il profeta) nel versetto seguente: “Il Messaggero di Dio [Muhammad] crede in ciò che gli è stato rivelato dal suo Signore e così tutti i credenti credono ciascuno in Dio e nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri, nei Suoi Messaggeri” (2, 285).

Il legame tra la testimonianza resa all’unicità di Dio e quella resa alla veridicità del Profeta è stabilito ancora nel Corano per il fatto che nel Libro sacro dell’Islam compare un secondo patto, quello detto “dei profeti”, attraverso il quale Dio fa testimoniare a tutti i profeti di riconoscere in anticipo la profezia di Muhammad: “E quando Iddio strinse un patto con i Profeti, dicendo: “Ecco un Libro e una Sapienza che vi ho dati: un Messaggero vi sarà, poi, inviato a confermare la rivelazione che voi già avete. Credetegli e sostenetelo”. E disse ancora: “Confermate e accettate il mio patto a questa condizione?” Risposero: “Confermiamo!” Ed Egli disse: “Testimoniate e io testimonierò con voi”».

Nella tradizione cristiana, la testimonianza-missione, innanzitutto scaturisce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesà Cristo. Infatti, il Vangelo di Domenica, (cfr Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici discepoli in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, “perché stessero con lui”, ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per “mandarli a due a due”, nei villaggi dove Lui stava per recarsi. E’ una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.

Questo episodio del Vangelo, invita i credenti a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Gesù Cristo e l’amore di Dio per il suo popolo. Questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano. Tutti siamo chiamati a proclamare nella Verità, la Parola di Dio, per aiutare il mondo a vivere nell’amore, nella pace e nella riconciliazione.

* * * Nota bene: il seguente articolo è stato elaborato nella parte della tradizione islamica, con l’ausilio del seguente studio: “L’idea di testimonianza nell’Islam evoca infatti immediatamente la shahâda, la professione o la “testimonianza” di fede per mezzo della quale si diventa musulmani”, di Michel Cuypers.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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