“Dopo il ritrovamento dell ossa, queste vennero portate al cardinale Giannettino Doria, che ne favorì il culto”. Questa è la frase che sentiamo dire ogni anno quando si avvicina il periodo dei festeggiamenti di Santa Rosalia. Ma chi era il cardinale Giannettino Doria?

Da Genova a Palermo

Stemma della famiglia Doria

Giovanni Doria detto anche Giannettino (nome in uso all’epoca), nasce a Genova il 24 marzo del 1573. Il suo è sicuramente un nome importante, il padre Gianandrea era pronipote di Andrea Doria, il celebre ammiraglio genovese noto per le sue eroiche imprese in mare. Il padre di Giannettino era anch’egli un ammiraglio, tanto da ereditare le fortune del prozio e inoltre comandò l’ala destra della flotta cristiana nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571.

La madre invece era Zenobia del Carretto, principessa regnante di Melfi contessa consorte di Loano e marchesa consorte di Torriglia, ricordata soprattutto per le sue attività di benefattrice e attiva in ambito religioso con la sua fede granitica. Il giovane Giannettino ricevette dunque un’educazione ecclesiastica fin da piccolo, educazione che era degna del suo rango sociale, di altissimo livello, fino a conseguire il baccalaureato in diritto canonico all’Università di Salamanca (Spagna) nel 1592.

Entrò nelle grazie del Re di Spagna che lo inserì nel suo milieu fino a quando tornato in Italia, il 9 giugno del 1604 ricevette la porpora cardinalizia nel concistoro presieduto da Papa Clemente VIII.

Tanti impegni, tre conclavi

Giannettino ebbe la fortuna di prendere parte a ben tre conclavi che elessero rispettivamente Leone XI (marzo-aprile 1605); Paolo V (maggio 1605) e Urbano VIII (1623), non venne mai eletto al soglio pontificio ma il suo voto fu determinante per i tre conclavi. Il suo impegno diplomatico fu importante perchè risolse diverse questioni tra la corte romana e quella di Madrid in merito alla guerra nelle Fiandre e dell’interdetto Veneziano, quest’ultima scoppiata nel 1606 a causa dell’arresto a Venezia di due preti cattolici accusati di reati comuni e dell’adozione da parte della Serenissima di una serie di leggi volte al contenimento della proprietà ecclesiastica.

Problemi con Roma e l’arrivo a Palermo

I rapporti tra Doria e la curia romana intanto si erano incrinati, probabilmente per via dei suoi buoni rapporti con la monarchia spagnola. Così nel 1604 giunse e venne nominato arcivescovo di Palermo. Accettò l’incarico per obbedienza, tuttavia aspirava a ruoli prestigiosi all’interno della curia romana, pian piano però, cambiò idea perchè sotto la sua guida, a Palermo sorsero alcune delle maestose chiese degli ordini religiosi più importanti della città.

Giannettino Doria venne nominato anche luogotenente del Regno di Sicilia, un ruolo di rilievo per l’epoca, una sorta di governatore in grado di legiferare. Durante il suo “regno” dovette fare i conti con la peste che ebbe la sua genesi il 7 maggio del 1624 con l’arrivo a Palermo, del vascello della redenzione dei cattivi (riscatto dei cristiani prigionieri degli infedeli).

Tenebre, luce e miracolo

La storia del miracolo la conosciamo bene. Girolama La Gattuta, colpita dal morbo, in un letto dell’Ospedale Grande di Palermo, sognò Santa Rosalia che le promise la guarigione se si fosse recata in pellegrinaggio sul Monte Pellegrino. Recatasi sul monte ebbe una seconda visione in cui la santa le indicò il posto preciso dove si trovavano i suoi resti mortali. Il 30 novembre 1624 il cardinale nominò una commissione di teologi perché si pronunciassero sul ritrovamento delle ossa di Santa Rosalia. Un gruppo di periti medici rimase perplesso di fronte ai reperti che appartenevano a persone diverse, avvenne però un altro fatto.

Il saponaro Vincenzo Bonello, dopo aver perso la giovane moglie per la peste, salì, con intenzioni suicide, sul Monte Pellegrino con il suo cane ed il fucile. Gli appare in visione Santa Rosalia che lo condusse verso la grotta e gli raccomandò di riferire all’arcivescovo Doria di portare in processione per la città le sue reliquie, qui ritrovate, perché la peste subito cessasse.

Il Cacciatore, colpito dal contagio, così come gli aveva predetto la Santa, raccontò, in punto di morte, la sua visione al suo confessore, Don Pietro Lo Monaco, Cappellano di Sant’Ippolito al Capo, che ne riferì all’arcivescovo. Quest’ultimo, colpito dal racconto del saponaro, riconvocò la commissione dei teologi e dei medici. Questa, il 18 febbraio, certificò che tra i reperti vi è un corpo “ingastato in densa pietra” certamente di giovane donna, dichiarando così l’autenticità delle ossa ritrovate come reliquie di S. Rosalia. Il Senato così ricevette in forma ufficiale dal Cardinale Doria le reliquie di Santa Rosalia, che, liberate dalle incrostazioni calcaree, vennero elencate e riposte in un cofano rivestito di velluto e quindi in una cassa d’argento.

La fine del contagio

Sarcofago del cardinale Doria

Il cardinale Doria allora iniziò a pregare incessantemente Santa Rosalia, implorandole la fine del morbo che intanto seminava morte nella città. Dopo la costruzione di un’urna contenente le ossa della giovane santa, il 9 giugno del 1625, si svolse la prima processione tra un tripudio di folla ed anziché favorirsi il diffondersi del contagio, questo si bloccò. Il 3 settembre 1625 il cardinale Doria, grazie ai suoi poteri temporali di luogotenente generale del regno, dispose che, essendo stata ottenuta per grazia di S. Rosalia la liberazione dalla peste, poteva essere ripristinata la libera circolazione di uomini e merci.

Giannettino Doria è stato anche colui che ha ottenuto l’iscrizione di Santa Rosalia nel Martirologio che raccoglie i nomi di Martiri e Santi per ogni giorno dell’anno, con queste parole: (15 luglio) “A Palermo corpo di S. Rosalia Vergine palermitana che sotto il Pontificato di Urbano VIII, ritrovato miracolosamente, liberò la Sicilia dalla peste nell’anno del giubileo“. Oggi, le spoglie mortali del porporato riposano nella cripta della maestosa cattedrale di Palermo.

Da quel momento in poi, Santa Rosalia divenne un simbolo di speranza, fede e guarigione, la stessa guarigione che ogni anno Palermo chiede, per allontanare tutte quelle pesti che affliggono il mondo moderno, in particolar modo i giovani che si trovano a fare i conti con realtà purtroppo negative. Santa Rosalia rappresenta dunque quel bagliore di speranza che illumina le tenebre, le stesse che non vinceranno mai contro l’amore.

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Di Giovanni Azzara

Giornalista, laureato in Lettere e Storia, ha studiato Scienze Religiose. Appassionato di Storia della Chiesa, segue la cronaca vaticana. Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo, è vicedirettore del quotidiano Esperonews, collaboratore del Giornale di Sicilia, collabora attivamente con Radio Spazio Noi inBlu2000 e Radio Panorama.

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