San Giacomo, è detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade. Chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea), anch’essi lo seguono (Matteo, 4). Nasce poi il collegio apostolico: “(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (…) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono” (Marco, 3).

Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani. Conosciamo anche la loro madre Salome  che si prostrò davanti a Gesù, per chiedere al Signore di dare un posto di privilegio ai figli. Tutto ciò, riflette l’ambiguità con la quale il popolo e i discepoli, anche quelli che sono stati scelti, i Dodici,  non comprendono fino in fondo Gesù, la sua persona e il suo messaggio, e cosa significa seguirlo. La risposta di Gesù li invita ad un cambiamento radicale di prospettiva nel rapporto con Lui. Di conseguenza, si dichiarano disposti a bere dal calice da cui il Signore stesso deve bere. Si tratta di un regno che si trova completamente nelle mani del Padre è possibile raggiungere con un cammino di dolore e di passione che viene coronato dalla gloria della Resurrezione.

Per entrare in questo regno del Padre, bisogna bere dal calice amaro di Cristo. Alla fine, Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. “Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti, 12). Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna). A Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re. Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani. L’ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto questa: il suo martirio.

Gli altri dieci non hanno un’opinione di Cristo diversa da quella della madre e dei figli di Zebedeo. Reagiscono con indignazione e gelosia. Tutti pretendono il primo posto al fianco di colui che sperano sia il futuro Re di Israele. La lezione che dà Gesù, riunendoli, approfondisce fino all’estremo il contenuto paradossale della sua azione liberatrice – incomprensibile per gli uomini, ineffabilmente luminosa vista secondo l’amore di Dio: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Di qui nasce l’esigenza fondamentale per chi vuole essere suo discepolo: l’esigenza del servizio che va fino al dono della vita per il Maestro e per i fratelli.

Secoli dopo il martirio di Giacomo, nascono tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna. Quando poi quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela. Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile. La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. 

L’Apostolo Giacomo, proseguì la sua missione evangelizzatrice a Coimbra e a Braga, passando, secondo la tradizione, attraverso Iria Flavia nel “Finis Terrae” ispanico, dove proseguì la predicazione. Nel Breviario degli Apostoli (fine del VI secolo) viene attribuita per la prima volta a San Giacomo l’evangelizzazione della “Hispania” e delle regioni occidentali, si sottolinea il suo ruolo di strumento straordinario per la diffusione della tradizione apostolica, così come si parla della sua sepoltura in Arca Marmárica. Successivamente, già nella seconda metà del VII secolo, un erudito monaco inglese chiamato il Venerabile Beda, cita di nuovo questo avvenimento nella sua opera, ed indica con sorprendente esattezza il luogo della Galizia dove si troverebbe il corpo dell’Apostolo.

A questo punto, non possiamo non ricordare il ritorno di San Giacomo in Terra Santa che si svolse lungo la via romana di Lugo, passando per Astorga e Zaragoza, ove, sconfortato, riceve la consolazione ed il conforto della Vergine, che gli appare (secondo la tradizione il 2 gennaio del 40), sulle rive del fiume Ebro, in cima ad una colonna romana di quarzo. La Madonna, gli chiede di costruire una chiesa in quel luogo. Questo avvenimento servì per spiegare la fondazione della Chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Zaragoza, oggi basilica ed importante santuario mariano del cattolicesimo spagnolo. Da questa terra, attraverso l’Ebro, San Giacomo probabilmente si diresse a Valencia, per imbarcarsi poi in un porto della provincia di Murcia o in Andalusia e far ritorno in Palestina tra il 42 ed il 44 d.C.

La tradizione popolare indica la presenza del corpo di San Giacomo nelle cime prossime alla valle di Padrón, ove esisteva il culto delle acque. Ambrosio de Morales nel XVI secolo, nella sua opera il Viaggio Santo dice:” Salendo sulla montagna, a metà del fianco, c’è una chiesa dove dicono che l’Apostolo pregasse e dicesse messa, e sotto l’altare maggiore si protende sin fuori della chiesa una sorgente ricca d’acqua , la più fredda e delicata che abbia provato in Galizia”. Questo luogo esiste attualmente ed ha ricevuto il nome affettuoso di “O Santiaguiño do Monte”. Uno degli autori dei sermoni raccolti nel Codice Calixtino, riferendosi alla predicazione di San Giacomo in Galizia, dice che ” colui che vanno a venerare le genti, Giacomo, figlio di Zebedeo, la terra della Galizia invia al cielo stellato”. Dice la leggenda che due dei discepoli di San Giacomo, Attanasio e Teodoro, raccolsero il suo corpo e la testa e li trasportarono in nave da Gerusalemme fino in Galizia. Dopo sette giorni di navigazione giunsero sulle coste della Galizia, ad Iria Flavia, vicino l’attuale paese di nome Padrón. Nel racconto della sepoltura dei resti di San Giacomo, impregnato di leggenda, appare Lupa, una dama pagana ricca ed influente, che viveva allora nel castello Lupario o castello di Francos, a poca distanza dall’attuale Santiago. I discepoli, alla ricerca di un terreno dove seppellire il loro maestro, chiesero alla nobildonna il permesso di inumarlo nel suo feudo. Lupa li rimette alla decisione al governatore romano Filotro, che risiedeva a Dugium, vicino Finisterra. Ben lungi dall’intendere le loro ragioni, il governatore romano ordina la loro incarcerazione. Secondo la tradizione, i discepoli furono liberati miracolosamente da un angelo e si dettero alla fuga inseguiti dai soldati romani. Giunti al ponte di Ons o Ponte Pías, sul fiume Tambre, ed attraversatolo, questo crollò provvidenzialmente permettendogli di fuggire.

La regina Lupa, simulando un cambio di atteggiamento, li portò al Monte Iliciano, oggi noto col nome di Pico Sacro, e gli offrì dei buoi selvaggi che vivevano in libertà ed un carro per trasportare i resti dell’Apostolo da Padrón fino a Santiago. I discepoli si avvicinarono agli animali che, dinnanzi agli occhi esterrefatti di Lupa, si lasciarono porre di buon grado il giogo. La regina dopo quest’esperienza decide di abbandonare le sue credenze per convertirsi al cristianesimo. Narra la leggenda che i buoi cominciarono il loro cammino senza ricevere nessuna guida, ad un certo punto si fermarono per la sete ed iniziarono a scavare con i loro zoccoli il terreno, facendone zampillare poco dopo dell’acqua. Si trattava dell’attuale sorgente del Franco, vicino al Collegio Fonseca, luogo dove posteriormente sarà edificata, in ricordo, la piccola cappella dell’Apostolo, nell’attuale “rua del Franco”. I buoi proseguirono il loro cammino e giunsero in un terreno di proprietà di Lupa, che lo donò per la costruzione del monumento funerario. In quel medesimo luogo, secoli dopo fu costruita la cattedrale, centro spirituale che presiede la città di Santiago.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.

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