Israele giunto ormai nel cuore della Terra promessa, a Sichem, sede di un santuario nazionale legato alle memorie dei patriarchi, è interpellato da Giosuè, la guida dell’ingresso in Terra Santa: “scegliete oggi chi volete servire”, gli idoli o il Dio liberatore dalla schiavitù dell’Egitto. E’ curioso notare che nel testo biblico risuona per 14 volte, il numero della pienezza e della perfezione: il verbo servire. Questo termine – diversamente da quanto avviene nelle nostre lingue moderne-, non ha nel linguaggio biblico un’accezione “servile” ma indica l’aderire libero e gioioso al progetto divino, tant’è vero che “servo” è il titolo delle massime figure bibliche, da Abramo a Mosè, da Giosuè a Davide, dai profeti alla figura messianica del “Servo del Signore” cantato e celebrato da Isaia. Nel Nuovo testamento, “serva del Signore” si dichiara Maria e “servo” è detto persino Gesù. Servire Dio, significa seguire il suo cammino accettando la sua proposta di vita; temerlo e riconoscendo la sua grandezza e la sua gloria; amarlo con tutto il cuore, con l’anima e con le forze, in definitiva significa credere in Lui.  

Ed ecco perché, la Liturgia nelle scorse domeniche ci ha fatto meditare il lungo discorso sul “pane della vita”, che è incastonato nel capitolo 6 di Giovanni e che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Oggi, i versetti proclamati nel Vangelo, presentano la reazione dei discepoli a quel discorso, una reazione che fu Cristo stesso, consapevolmente, a provocare. Anzitutto, l’evangelista Giovanni – che era presente insieme agli altri Apostoli – riferisce che “da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui”. Perché? Perché non credettero alle parole di Gesù che diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno; veramente parole in questo momento difficilmente accettabili, comprensibili. Questa rivelazione, rimaneva per loro incomprensibile, perché la intendevano in senso materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo: la nuova presenza nell”Eucaristia.

Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: “Volete andarvene anche voi?”. Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: “Signore, da chi andremo? – Anche noi possiamo riflettere: da chi andremo? – Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice, in una sua predica su Giovanni 6: “Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo [risorto] e il tuo sangue[, Te stesso]. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9). Così ha detto sant’Agostino in una predica ai suoi credenti.

Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: “Uno di voi è un diavolo” (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.