La lamentela che si sente ripetere più spesso, nelle nostre parrocchie, è quella della mancanza dei giovani. Un dato di fatto, quello dell’innalzamento dell’età anagrafica di chi partecipa alle celebrazioni domenicali, cristallizzato ormai da anni dalle ricerche statistiche e con cui bisogna fare i conti, anche a Palermo.
Dopo la Comunione, la fuga
Delle bambine e dei bambini che ricevono la “prima” comunione, pochi, a volte pochissimi, restano nelle comunità parrocchiali. Alcuni passano al percorso di catechesi per la cresima, altri si inseriscono in altri gruppi (giovanissimi, ministranti, boy scout, etc.) ma rappresentano una parte decisamente residuale.
Un meccanismo che ovviamente non dipende dai bambini ma in parte dalle famiglie e il risultato è che, ricevuto il sacramento dell’Eucarestia, i giovani abbandonano la vita ecclesiale (non necessariamente l’esperienza di fede) tornandovi da adulti.
E’ la pastorale giovanile il tema della seconda puntata di “Proposte alla Chiesa di Palermo”, la rubrica di Portadiservizio che vuole offrire idee e contributi alla nostra arcidiocesi in vista della ripresa delle attività pastorali e non solo.
A.A.A., giovani cercansi
Un problema che la Chiesa di Palermo ha ben chiaro, tanto da provare a riformare radicalmente il percorso per ricevere il secondo e il terzo sacramento dell’iniziazione cristiana. L’idea è quella di un cammino sviluppato su più anni che sia meno nozionistico e più esperienziale e che, soprattutto, coinvolga attivamente le famiglie. Un progetto che partirà dall’anno pastorale 2025/2026, con una fase transitoria, e che non ha mancato di suscitare qualche perplessità.
La presenza dei giovani in parrocchia, però, è un tema molto più ampio. Non è scontato, infatti, che una ragazza o un ragazzo che cresce in una famiglia credente e praticante lo sia a sua volta e il problema, quindi, non è solo la famiglia di provenienza.
I grandi raduni
Il vero interrogativo è come rendere “attraente” per i giovani di oggi la proposta del Vangelo. Negli anni si sono susseguiti numerosi tentativi, alcuni più fortunati e altri meno: le Giornate mondiali della gioventù, l’uso dei social media e degli strumenti di comunicazione di massa, attività pastorali in spiaggia o nei luoghi della movida, apertivi dopo la Messa, perfino il prete dj a Lisbona.
Attività che magari attirano un numero considerevole di giovani, ma sulla cui efficacia pastorale si potrebbe discutere a lungo. Così come non sembra convincente l’idea di annacquare la proposta di fede per renderla più appetibile: pensare che basti una morale sessuale più “libera” per riempire le chiese è pura utopia.
La relazione come base
Nessuno ha soluzioni a portata di mano ma guardare all’esperienza può essere d’aiuto. Partiamo però da alcuni presupposti: non è vero, almeno in termini generali, che i giovani non sentano il bisogno di una spiritualità, semmai è vero che la proposta cristiana è spesso vista come un insieme di precetti e regole inutilmente rigide.
Inoltre, per quanti sforzi possiamo fare, l’incontro tra l’uomo (anche se giovane) e Dio non dipende da noi ed è inevitabile che, fra tanti, solo alcuni continueranno un percorso di fede.
Detto questo, la relazione rimane lo strumento fondamentale per annunciare il Vangelo, anche e soprattutto con i giovani. Ben vengano le occasioni per avvicinarli ma è nel tempo, con costanza e impegno, che si possono costruire rapporti di amicizia e fiducia in cui offrire un’autentica testimonianza di vita evangelica.
Servono inoltre iniziative pastorali, anche sul fronte vocazionale, che implichino una maggiore cooperazione tra ambiti diversi, tra il livello diocesano e quello delle parrocchie, con un coordinamento globale che guardi al mondo dei giovani nel suo complesso.
Una proposta di fede
I giovani di oggi, più di quelli di ieri, devono confrontarsi con una società fluida, in continua evoluzione, con pochi punti fermi e una molteplicità di modelli non sempre positivi, che spaccia per conquiste di civiltà o espressioni di libertà azioni come l’aborto o il divorzio.
Ai giovani bisogna presentare la fede cristiana per quel che realmente è: una relazione d’amore con il Padre, un’esperienza capace di cambiare la nostra esistenza e di darle un senso, che ha sì delle regole che però non sono mere proibizioni ma strumenti per raggiungere la piena e autentica felicità che niente ha a che fare con quella umana, effimera e passeggera.
Non possiamo limitarci a dire che la droga fa male, come farebbe qualsiasi ente del terzo settore, o che la mafia va condannata; bisogna andare più a fondo e dire che solo in Gesù è possibile trovare la vera felicità, che solo una vita vissuta nell’amore di Dio può donare la beatitudine eterna. Il resto sarà una naturale conseguenza.
Così si potranno spiegare, senza tentennamenti o diluizioni, la morale sessuale, quella familiare, la bellezza della fedeltà coniugale, di una vita condivisa con un solo partner, di una sessualità autentica basata sull’amore. E potrà farlo solo una Chiesa capace di vivere coerentemente ciò che annuncia.
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