Nell’episodio della pesca miracolosa, di cui ci parla l’odierno brano evangelico, intravediamo Gesù che invita i discepoli a gettare le reti, nonostante una notte infruttuosa. Simone, che ancora non era chiamato Pietro, per tutti diede la risposta: “Maestro, sulla tua parola getterò le reti!” Ed ecco il conferimento della missione: “Non temere! D’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 1–11).

Anche oggi viene detto alla Chiesa, di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: “per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita”.

E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini – che non è solo una prerogativa dei sacerdoti, ma anche di tutti i battezzati-, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni, verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita.

Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione, -diceva papa Benedetto-. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui.

Di fronte al prodigio della pesca miracolosa, Simon Pietro non si getta al collo di Gesù per esprimere la gioia di quella pesca inaspettata, ma, come racconta l’Evangelista San Luca, gli si getta alle ginocchia dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Gesù, allora, lo rassicura: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (cfr Lc 5,10); ed egli, lasciato tutto, lo segue.

Anche Paolo, ricordando di essere stato un persecutore della Chiesa, si professa indegno di essere chiamato apostolo, ma riconosce che la grazia di Dio ha compiuto in lui meraviglie e, nonostante i propri limiti, gli ha affidato il compito e l’onore di predicare il Vangelo (cfr 1Cor 15, 8-10). In questo vediamo come l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato. Ma, nonostante questa fragilità, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo. L’umiltà testimoniata da Pietro e da Paolo invita quanti hanno ricevuto il dono della vocazione divina a non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a “lasciare tutto” per Lui. Egli, infatti, non guarda ciò che è importante per l’uomo: “L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16,7), e rende degli uomini poveri e deboli, ma che hanno fede in Lui, intrepidi apostoli e annunciatori della salvezza.

Ma la sequela del Maestro porta i discepoli dopo averlo incontrato a scegliere tra il bene e il male. Nel nuovo testamento la prima donna che ha scelto di seguire Cristo incondizionatamente, è stata la Vergine Maria, la quale per rimanere fedele alla sua chiamata ha “conservato nel cuore e nella fede”, la promessa di Dio.

Ecco perché a termine del nostro cammino di preparazione alla Festa della Madonna della Milicia, mi piace pensare al titolo con cui invochiamo Maria nelle Litanie: “Arca dell’Alleanza”, arca della presenza di Dio, arca dell’alleanza d’amore che Dio ha voluto stringere in modo definitivo con tutta l’umanità in Cristo. L’umanità ha bisogno di rinnovare l’alleanza con Dio, per non precipitare nella morte, e noi lo facciamo ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. Tutti noi, abbiamo bisogno di tenere gli occhi rivolti verso il cielo per non cadere nelle tentazioni e per scegliere Cristo.

Il Libro dell’Apocalisse al capitolo 11 racconta: “Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza”. Qual è il significato dell’arca? Che cosa appare? Per l’Antico Testamento, essa è il simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Ma ormai il simbolo ha ceduto il posto alla realtà. Così il Nuovo Testamento ci dice che la vera arca dell’alleanza è una persona viva e concreta: è la Vergine Maria. Dio non abita in un mobile, Dio abita in una persona, in un cuore: Maria, Colei che ha portato nel suo grembo il Figlio eterno di Dio fatto uomo, Gesù nostro Signore e Salvatore.

Nell’arca – come sappiamo – erano conservate le due tavole della legge di Mosè, che manifestavano la volontà di Dio di mantenere l’alleanza con il suo popolo, indicandone le condizioni per essere fedeli al patto di Dio, per conformarsi alla volontà di Dio e così anche alla nostra verità profonda.

Maria è l’arca dell’alleanza, perché ha accolto in sé Gesù; ha accolto in sé la Parola vivente, tutto il contenuto della volontà di Dio, della verità di Dio; ha accolto in sé Colui che è la nuova ed eterna alleanza, culminata con l’offerta del suo corpo e del suo sangue: corpo e sangue ricevuti da Maria.

Il brano dell’Apocalisse vuole indicare un altro aspetto importante della realtà di Maria. Ella, arca vivente dell’alleanza, ha un destino di gloria straordinaria, perché è così strettamente unita al Figlio che ha accolto nella fede e generato nella carne, da condividerne pienamente la gloria del cielo: “un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta… Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni…” (12,1-2; 5).

La grandezza di Maria, Madre di Dio, piena di grazia, pienamente docile all’azione dello Spirito Santo, vive già nel Cielo di Dio con tutta se stessa, anima e corpo. San Giovanni Damasceno riferendosi a questo mistero in una famosa Omelia afferma: “la santa e unica Vergine è condotta al tempio celeste… Oggi l’arca sacra e animata del Dio Vivente, che ha portato in grembo il proprio Artefice, si riposa nel tempio del Signore, non costruito da mano d’uomo”. (Omelia II sulla Dormizione, 2, PG 96, 723) e continua: “bisognava che colei che aveva ospitato nel suo grembo il Logos divino, si trasferisse nei tabernacoli del Figlio suo … Bisognava che la Sposa che il Padre si era scelta, abitasse nella stanza nuziale del Cielo” (ibid., 14, PG 96, 742).

La Chiesa, in Maria canta l’amore immenso di Dio per questa sua creatura: l’ha scelta come vera “arca dell’alleanza”, – ארון הברית – (Aron haberit)-, come Colei che continua a generare e a donare Cristo Salvatore all’umanità, come Colei che in cielo condivide la pienezza della gloria e gode della felicità stessa di Dio e, nello stesso tempo, invita anche noi a divenire, “arca” nella quale è presente la Parola di Dio, che è trasformata e vivificata dalla sua presenza, luogo della presenza di Dio, affinché gli uomini possano incontrare nell’altro uomo la vicinanza di Dio e così vivere in comunione con Dio e conoscere la realtà del Cielo.

Alcuni commentatori vedono anche nell’arca di Noè una prefigurazione di quanto è stato compiuto a quel tempo: Maria è l’arca che protegge i figli dalla furia del peccato, come un giorno Noè con l’arca ha protetto tutte le specie viventi per poi alla fine del diluvio riconciliarsi con Dio!

Cari fratelli! Stiamo parlando di Maria, ma, in un certo senso, stiamo parlando anche di noi, di ciascuno di noi: anche noi siamo destinatari di quell’amore immenso che Dio ha riservato – certo, in una maniera assolutamente unica e irripetibile – a Maria. In questa vigilia della festa della Madonna della Milicia, guardiamo a Maria: Ella ci apre alla speranza, ad un futuro pieno di gioia e ci insegna la via per raggiungerlo: accogliere nella fede, il suo Figlio; non perdere mai l’amicizia con Lui, ma lasciarci illuminare e guidare dalla sua parola; seguirlo ogni giorno, anche nei momenti in cui sentiamo che le nostre croci si fanno pesanti. Maria, l’arca dell’alleanza che sta nel santuario del Cielo, ci indica con luminosa chiarezza che siamo in cammino verso la nostra vera Casa, la comunione di gioia e di pace con Dio. Amen!

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.