Uno dei grandi meriti del Concilio Vaticano II è stato quello di ripensare il ruolo dei laici nella Chiesa, nella sua vita e nella sua missione, trasformandoli da “semplici spettatori” a parte integrante e attiva della comunità ecclesiale.

Il loro ruolo non è accessorio o facoltativo perché i laici sono a tutti gli effetti “corresponsabili”, come li hanno definiti in più occasioni gli ultimi pontefici. Donne e uomini che, in virtù del battesimo e in generale dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono a pieno titolo membra del popolo di Dio e chiamati a partecipare alla missione della Chiesa.

Un concetto che oggi, a 60 anni dal Concilio, potrebbe sembrare banale ma che in realtà, per chi ha presente cosa fosse la Chiesa tridentina e ancor prima quella medievale, è stato assolutamente rivoluzionario.

Il punto è che non sempre questo rinnovato protagonismo è stato inteso o attuato come avrebbe dovuto: colpa forse di quel “clericalismo” contro cui si scaglia spesso papa Francesco ma, probabilmente, anche di una scarsa presa di coscienza da parte degli stessi laici.

Alla formazione dei laici e, più in generale, al loro ruolo è dedicata la quinta tappa di “Proposte alla Chiesa di Palermo”, la rubrica di Portadiservizio che vuole ospitare idee e contributi per l’oggi e il domani della nostra comunità ecclesiale.

Un nuovo protagonismo

Il nuovo ruolo dei laici, nei decenni post-conciliari, ha suscitato un grande entusiasmo e prodotto numerosi benéfici effetti sulla Chiesa universale e su quelle particolari e, di conseguenza, sulle parrocchie.

Basti pensare all’istituzione dei consigli pastorali e degli affari economici, alle grandi aperture scaturenti dalla riforma liturgica, a nuovi compiti e ruoli (il catechista, il ministro straordinario della santa comunione, l’accolitato e il lettorato a uomini sposati, per citarne alcuni), alla formazione incoraggiata a ogni livello, da quella più semplice sino alle università.

Elementi confluiti anche in un’interessante e poco conosciuta istruzione della Congregazione per il Clero del 2020 (“La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”) che bisognerebbe rispolverare e riscoprire.

Un nuovo protagonismo non dovuto alla carenza di vocazioni o a necessità funzionali ma come parte dell’identità stessa della Chiesa, di un popolo di Dio chiamato tutto all’annuncio e alla santità.

La tentazione della rivendicazione

Il punto è che, a volte, questa grande intuizione conciliare è stata vissuta con spirito di rivendicazione o rivalsa: tenuti per secoli ai margini, esclusi da qualsiasi forma di partecipazione, alcuni laici hanno iniziato a chiedere maggiori spazi e responsabilità anche mettendo in discussione l’autorità dei pastori. Sbavature che non intaccano un processo che va avanti da decenni e che, grazie alla recente sensibilità sinodale, è destinato a continuare con maggior vigore.

Il peso della corresponsabilità

Essere corresponsabili, però, non significa solo “conquistare” spazi e incarichi; significa, soprattutto, prendere coscienza di un ruolo che implica un’assunzione di responsabilità.

Un laicato tenuto ai margini, considerato “mero spettatore”, non ha responsabilità né in termini positivi né negativi; per intenderci, non potrà essere ritenuto responsabile di una Chiesa che sbaglia o di iniziative fallimentari. Ma in una Chiesa di corresponsabili, in cui cioè tutti partecipano anche ai processi decisionali, i laici sono chiamati a rispondere di scelte e attività.

La necessità della formazione

In questo senso, diventa decisivo il tema della formazione. I laici, per poter assumere ruoli e responsabilità, devono essere adeguatamente formati: una necessità che non sempre è di facile attuazione.

Formarsi significa studiare, dedicare tempo ed energie che inevitabilmente vengono sottratti al lavoro e alla famiglia, ritagliare una parte importante del proprio tempo libero per la lettura, comprensione e meditazione di documenti e libri.

Un accolito, un lettore, un catechista, un ministro straordinario ma in generale ogni operatore pastorale e perfino ogni cristiano deve essere formato: non solo per comprendere i contenuti della propria fede o ciò che celebra nella liturgia, ma anche per svolgere una qualsiasi attività parrocchiale.

Una necessità che i cattolici dovrebbero sentire come impellente e per la quale, oggi, vengono offerti tantissimi strumenti, tali da rendere la mancata formazione una responsabilità anche individuale.

Non basta essere disponibili

Non ha senso lamentarsi del fatto che le bambine e i bambini, ricevuta la prima comunione, scappino dalle parrocchie senza interrogarsi sulla qualità del percorso che abbiamo offerto a loro e alle rispettive famiglie. E lo stesso vale per i corsi di preparazione alla cresima e al matrimonio.

Non ha senso istituire consigli pastorali se poi chi li compone non ha la minima idea di come funzioni una parrocchia o si strutturi un’attività. Il rischio è avere organismi che rasentano l’inutilità, ridotti a luoghi in cui il parroco si limita a elencare iniziative senza alcun apporto da parte degli altri componenti.

L’esperienza sinodale, così bella e ricca, ha messo in evidenza i grandi limiti della formazione di molti laici, specie di quelli più giovani o più anziani, che spesso non avevano alcuna cognizione di cosa fosse la Chiesa o la liturgia, tanto per fare qualche esempio.

La scelta degli operatori pastorali, in una parrocchia, non può basarsi solo sul “tempo libero” che i candidati possono mettere a disposizione della comunità, ma deve basarsi preliminarmente e principalmente sulla disponibilità a una formazione specifica e continua, sulle attitudini e sulle capacità.

Una preclusione a priori alla formazione (“non ho tempo”, “non ho voglia”, “non fa per me”) è il primo segnale di una mancata comprensione del delicato ruolo a cui un operatore pastorale è chiamato; un’attività ben fatta può attirare tanti, un’attività fatta male o improvvisata al contrario può respingere.

Palermo apripista

In questo ambito, Palermo ha fatto da apripista in Italia: negli ultimi decenni sono nate diverse opportunità formative, alcune di straordinaria efficacia, copiate in lungo e in largo.

In primis la scuola teologica di base, voluta nel 1980 dall’allora cardinale Salvatore Pappalardo, che dopo oltre 40 anni è ancora attiva con centri diffusi capillarmente sul territorio e un’offerta formativa adatta a ogni esigenza. Centinaia di iscritti a cui viene offerta la possibilità, grazie a oltre cento docenti, di seguire le lezioni nel giorno della settimana e nell’orario più congeniali, per non parlare della formazione a distanza.

Negli anni sono nate le scuole di formazione biblica, liturgica, socio-politica, dei ministeri oltre ai corsi che vengono offerti da vari uffici pastorali diocesani sui più svariati temi: catechesi, caritas, salute, famiglia, giovani, per citarne alcuni.

Un ruolo, quello dei laici, valorizzato istituendo i consigli pastorali, affidando alcuni ruoli a non consacrati, conferendo a laici i ministeri del lettorato e dell’accolitato che molte diocesi hanno “scoperto” soltanto adesso ma che nella nostra diocesi sono una realtà consolidata da decenni.

Rilanciare la formazione

Uno slancio che, fisiologicamente, col tempo si è affievolito e che invece andrebbe rilanciato e rivitalizzato. Come? Investendo sulle scuole già esistenti, implementandole, facendo rete e soprattutto incoraggiando i laici a frequentarle, compito che spetta anzitutto ai parroci.

Avere in diocesi realtà così belle ed efficaci, senza valorizzarle adeguatamente, rappresenta un’occasione mancata, specie di questi tempi.

Ma anche creando nuove realtà formative, per esempio nel campo dell’impegno civico e sociale dei cattolici: non ha senso fare appello ai laici e alla loro testimonianza nel mondo, se poi non si offrono loro spazi e strumenti adeguati.

Laici più responsabili

Un laicato formato e quindi responsabilizzato non va visto come una “minaccia” ma, semmai, come una concreta risorsa, tanto a livello diocesano quanto parrocchiale, specie al giorno d’oggi.

Questo però implica un doppio impegno. Per i presbiteri di operare un più attento discernimento nella scelta degli operatori pastorali, puntando sulla formazione e sul raggiungimento di una maturità umana e cristiana, senza escludere nessuno ma senza facili scorciatoie che non fanno il bene né del singolo, né della comunità.

Per i laici di mostrarsi disponibili alla formazione e all’impegno pastorale, consci dei sacrifici che questo comporta ma anche della chiamata all’evangelizzazione che Dio rivolge a ognuno delle sue figlie e dei suoi figli.

Per approfondire

Proposte alla Chiesa di Palermo/4, la procreazione assistita

Proposte alla Chiesa di Palermo/3: la pastorale familiare

Proposte alla Chiesa di Palermo/2: la pastorale giovanile

Proposte alla Chiesa di Palermo/1: una “nuova” parrocchia

Proposte alla Chiesa di Palermo, un contributo di idee

Segui Porta di Servizio

Seguici sul nostro canale WhatsApp oppure qui t.me/portadiservizio sul gruppo Telegram.

Di Roberto Immesi

Giornalista, collabora con Live Sicilia, è Revisore dei Conti dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e Membro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.