Anche nel mese di ottobre, a Palermo, e soprattutto con il sole a favore, è un brulicare di turisti e di semplici residenti che affollano le strade principali del centro storico cittadino per ammirare la monumentale bellezza degli edifici, e in modo particolare delle chiese che – distribuite in ogni angolo della città, come rugiada di grazia abbondante – raccontano Palermo e la sua storia di fede.

Il nostro professore, Baldo Lo Cicero, – approfittando della breve sosta scolastica di fine settimana – ne approfitta per regalarci, ancora una volta, alcune immagini catturate durante una delle sue fermate nella Chiesa di Santa Maria della Catena.

La Chiesa

La chiesa – uno dei maggiori esempi di gotico siciliano – è stata edificata nei primi due decenni del sec. XVI in un pezzo di terra adibito ad ingresso dell’antico porto di Palermo, che era possibile chiudere con una pesante “catena” (da cui la specificazione “della Catena” attribuita alla chiesa).

La chiesa si rifà alla tradizione locale risalente all’età normanna, con stucchi settecenteschi ancora presenti nelle cappelle del lato destro che conservano gli affreschi di Olivio Sozzi. All’ingresso è posto un fonte battesimale del 1654; un sarcofago del 1550 ed una urna sepolcrale antica con strigilature e coperchio trecentesco con stemmi gentilizi si trovano collocati nella parete sinistra dell’edificio sacro.

Altre opere di raffinata fattura riguardano: un rilievo con l’«Incoronazione della Vergine» del sec. XV; l’altare tardo-cinquecentesco e il relativo affresco della Madonna della Catena. Ai lati è possibile, invece, rintracciare le statue del sec. XVI delle sante Barbara, Margherita, Ninfa e Oliva.

Il racconto dei tre condannati a morte

Una particolare tradizione – narrata dagli storici Mongitore e Pirri e riportata nei testi di Gaspare Palermo e Gaspare Bajona – lega ulteriormente questa bella e monumentale Chiesa, dedicata alla Vergine Maria, al nome “della Catena”. Nell’agosto del 1392, infatti, tre giovani innocenti condannati a morte furono condotti a piazza Marina per essere impiccati.

Un terribile uragano, però, interruppe l’esecuzione, e i gendarmi, insieme ai tre condannati, si rifugiarono nella chiesetta dove si venerava l’immagine della Madonna detta Vergine del Porto, per attendere la fine della tempesta, e dove invece finirono per trascorrere tutta la notte.

Chiusa la porta della Chiesa i tre condannati rimasero legati l’un l’altro da grosse catene, e mentre le guardie dormivano le preghiere dei tre giovani invocavano la Vergine Maria di far luce sulla loro innocenza.

Il prodigio delle catene spezzate

Improvvisamente, al sorgere del sole, si spezzarono le catene e – così si racconta – sentirono una voce proveniente dall’immagine della Madre di Dio che diceva «Andetevene in libertà e non temete cosa alcuna: il Divino Infante che tengo tra le braccia ha già accolto le vostre preghiere e vi ha concesso la vita».

La porta della chiesa si spalancò e i tre condannati poterono uscire fuori. Le guardie però li raggiunsero per arrestarli, ma il popolo che affollava la piazza si appellò al re, che di fronte a quel prodigioso evento decise di restituire la libertà ai tre condannati.

Il re e la regina, infine, si recarono tra i primi nella chiesetta del prodigio, per vedere le catene spezzate e rendere omaggio alla Vergine Maria.

Foto di: Baldo Lo Cicero

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.