Il brano di Geremia che si legge in apertura dell’odierna Liturgia della Parola, è ritagliato dal cosiddetto “libretto della consolazione”: si tratta dei cc. 30-31 che parlano del crollo di Gerusalemme sotto le armate babilonesi (586 a.c.).
Protagonista è il popolo passato attraverso le angosce dell’oppressione, dalla deportazione, dell’esilio e della persecuzione: è composto solo di deboli, di ciechi, di zoppi, di donne incinte, simboli della sofferenza e dell’emarginazione.
Ma è con loro che il Signore costituisce la sua nuova famiglia “perché io sono un padre per Israele e lui è il mio primogenito”. E sarà l’azione efficace di Dio a trasformare questa massa di miseri e di vittime in un popolo glorioso e gioioso.
Possiamo comprendere che, sotto la superficie esteriore “fisica” della guarigione di Bartimeo, si cela una segno più profondo e messianico. Infatti, in filigrana, nel Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario (Mc 10, 46-52) leggiamo che, mentre il Signore passa per le vie di Gerico, un cieco di nome Bartimeo si rivolge verso di Lui gridando forte: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Questa preghiera tocca il cuore di Cristo, che si ferma, lo fa chiamare e lo guarisce. Il momento decisivo è stato l’incontro personale, diretto, tra il Signore e quell’uomo sofferente. Si trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: “Che vuoi che io ti faccia?”, gli chiede il Signore. “Che io riabbia la vista!”, risponde il cieco. “Va’, la tua fede ti ha salvato”.
Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo. E Bartimeo, venuto alla luce – narra il Vangelo – “prese a seguirlo per la strada”: diventa cioè un suo discepolo e sale col Maestro a Gerusalemme, per partecipare con Lui al grande mistero della salvezza. Questo racconto, nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche “Illuminazione”.
La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore. Su questo modello sono impostati nella Chiesa gli itinerari di iniziazione cristiana, che preparano ai sacramenti del Battesimo, della Confermazione (o Cresima) e dell’Eucaristia.
Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza.
Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! E a tal proposito non possiamo non citare il cammino di formazione cristiana che l’Arcivescovo di Palermo, ha offerto alla sua Chiesa per annunciare il Vangelo e camminare nelle vie del Signore Gesù.
Il progetto, “è uno strumento che nasce dal desiderio profondo che le nostre comunità ecclesiali tornino ad essere grembi generativi” – dice don Angelo Tomasello, direttore dell’Ufficio diocesano per la Catechesi – “una preziosa occasione per tutti, perché con l’iniziazione cristiana la Chiesa non solo genera nuovi figli alla fede, ma rigenera continuamente sé stessa”.
Don Giuseppe Vagnarelli, direttore dell’Ufficio Pastorale, ricorda che “Non è un progetto calato dall’alto, ma che ci chiede il duc in altum, di prendere il largo e gettare ancora le reti, non accontentandoci del ‘si è sempre fatto così’.
Il cambiamento che ci è chiesto è tale che dobbiamo sforzarci di abbandonare un certo immaginario e il suo vocabolario: iscrizioni, anni di durata, frequenza delle lezioni, seconda o terza elementare, la maestra del catechismo, la lezione di un’ora o un’ora e mezza, l’appello, il registro, il timbro sul tesserino se vai a Messa da un’altra parte… sono otri ormai vecchi, nei quali non possiamo mettere il vino nuovo!
Qui si parla di un percorso che prevede delle tappe, scandite da momenti e riti di passaggio, nei quali imparare ed esercitarsi a vivere da discepoli di Gesù, e lungo il quale i Sacramenti non sono traguardi o premi. Il fine è prepararsi alla vita, con le sue grandi domande e sfide, affinché la gioia dell’appartenenza a Cristo nella Chiesa non si esaurisca in una bella festa. La sfida è che la fede torni ad essere per tutti la festa della vita: perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”.
Per concludere: la riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano, perché vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria.
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