La Liturgia della scorsa domenica ha presentato il ritratto di uno scriba “vicino al regno di Dio”, colui che aveva accettato la legge dell’amore per Dio e per il prossimo come il primo di tutti i comandamenti. Oggi, invece, quasi in negativo Gesù disegna la fisionomia dello scriba perverso e ipocrita. Si tratta, però, di un abbozzo che non è esclusivo del giudaismo, perché lo possiamo ritrovare purtroppo in filigrana nel volto spirituale di molti cristiani.

Gesù opera una critica aspra nei confronti della religiosità artificiosa e falsa, retorica esteriore, fatta di ostentazione e di vuoto interiore. Con ironia sferzante il Maestro, colpisce tutti gli atteggiamenti boriosi e solenni, avvolti solo all’esterno di religiosità ma nell’interno colmi di ambizione e superbia. Ed ecco che nel Vangelo di questa domenica ci ritroviamo con Gesù al Tempio di Gerusalemme, dove pone in risalto due figure contrapposte: lo scriba e la vedova.  Nel cosiddetto “cortile delle donne” vi erano tredici cassette con apertura a forma di tromba per raccogliere offerte volontarie e imposte per la gestione del Tempio. Gesù è seduto e segue i gesti degli offerenti, soprattutto quelli dei ricchi che ostentano le loro offerte, denunziandole al sacerdote sovrintendente al “tesoro”. Era, infatti, un’occasione per ottenere un riconoscimento pubblico, un attestato di benemerenza, uno statuto sociale ed “ecclesiastico” di rispetto, sottolineato e convalidato dal ringraziamento e dalle premure del sacerdote incaricato. Nessuno, in questo contesto poteva badare ad una povera vedova che, nel frattempo, s’era accostata e aveva versato due “leptà”, la più piccola moneta di rame in circolazione.

Dunque, possiamo desumere, dalla descrizione appena fatta, che – come ricorda Papa Francesco – «lo scriba rappresenta le persone importanti, ricche, influenti; l’altra – la vedova – rappresenta gli ultimi, i poveri, i deboli. In realtà, il giudizio risoluto di Gesù nei confronti degli scribi non riguarda tutta la categoria, ma è riferito a quelli tra loro che ostentano la propria posizione sociale, si fregiano del titolo di “rabbi”, cioè maestro, amano essere riveriti e occupare i primi posti (cfr vv. 38-39). Quel che è peggio è che la loro ostentazione è soprattutto di natura religiosa, perché pregano – dice Gesù – “a lungo per farsi vedere” (v. 40) e si servono di Dio per accreditarsi come i difensori della sua legge. E questo atteggiamento di superiorità e di vanità li porta al disprezzo per coloro che contano poco o si trovano in una posizione economica svantaggiosa, come il caso delle vedove.

Gesù smaschera questo meccanismo perverso: denuncia l’oppressione dei deboli fatta strumentalmente sulla base di motivazioni religiose, dicendo chiaramente che Dio sta dalla parte degli ultimi. E per imprimere bene questa lezione nella mente dei discepoli offre loro un esempio vivente: una povera vedova, la cui posizione sociale era irrilevante perché priva di un marito che potesse difendere i suoi diritti, e che perciò diventava facile preda di qualche creditore senza scrupoli, perché questi creditori perseguitavano i deboli perché li pagassero.  Questa donna, che va a deporre nel tesoro del tempio soltanto due monetine, tutto quello che le restava e fa la sua offerta cercando di passare inosservata, quasi vergognandosi. Ma, proprio in questa umiltà, ella compie un atto carico di grande significato religioso e spirituale. Quel gesto pieno di sacrificio non sfugge allo sguardo di Gesù, che anzi in esso vede brillare il dono totale di sé a cui vuole educare i suoi discepoli. 

L’insegnamento che oggi Gesù ci offre ci aiuta a recuperare quello che è essenziale nella nostra vita e favorisce una concreta e quotidiana relazione con Dio. Fratelli e sorelle, le bilance del Signore sono diverse dalle nostre. Lui pesa diversamente le persone e i loro gesti: Dio non misura la quantità ma la qualità, scruta il cuore, guarda alla purezza delle intenzioni. Questo significa che il nostro “dare” a Dio nella preghiera e agli altri nella carità dovrebbe sempre rifuggire dal ritualismo e dal formalismo, come pure dalla logica del calcolo, e deve essere espressione di gratuità, come ha fatto Gesù con noi: ci ha salvato gratuitamente; non ci ha fatto pagare la redenzione. Quando siamo tentati dal desiderio di apparire e di contabilizzare i nostri gesti di altruismo, – appunta papa Francesco -, quando siamo troppo interessati allo sguardo altrui e – permettetemi la parola – quando facciamo “i pavoni”, pensiamo a questa donna. Ci farà bene: ci aiuterà a spogliarci del superfluo per andare a ciò che conta veramente, e a rimanere umili» (Papa Francesco, Angelus, 11 novembre 2018).

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.