A conclusione dell’anno Liturgico, in questa domenica si erge la figura di Cristo Re dell’Universo. Mi piace concludere questo ciclo di commenti alla Liturgia della Parola della domenica, riprendendo l’omelia pronunciata da Papa Francesco, nella Cattedrale di Asti, il 20 Novembre 2022:
“La nostra idea di re, con Gesù viene ribaltata. Proviamo a immaginare visivamente un re: ci verrà in mente un uomo forte seduto su un trono con delle insegne preziose, uno scettro tra le mani e anelli luccicanti tra le dita, mentre proferisce ai sudditi parole solenni. Questa, grosso modo, è l’immagine che abbiamo in testa. Ma guardando Gesù, vediamo che è tutto il contrario. Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso ad un patibolo; il Dio che «rovescia i potenti dai troni» (Lc 1,52) opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa aduerte.
Solo entrando nel suo abbraccio noi capiamo: capiamo che Dio si è spinto fino a lì, fino al paradosso della croce, proprio per abbracciare tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte – Lui ha abbracciato la nostra morte -, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità e le nostre miserie. E Lui ha abbracciato tutto questo. Si è fatto servo perché ciascuno di noi si senta figlio: ha pagato con la sua servitù la nostra figliolanza; si è lasciato insultare e deridere, perché in ogni umiliazione nessuno di noi sia più solo; si è lasciato spogliare, perché nessuno si senta spogliato della propria dignità; è salito sulla croce, perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio.
Ecco il nostro Re, Re di ognuno di noi, Re dell’universo perché ha valicato i confini più remoti dell’umano, è entrato nei buchi neri dell’odio, nei buchi neri dell’abbandono per illuminare ogni vita e abbracciare ogni realtà. Fratelli, sorelle, questo è il Re che oggi festeggiamo! Non è facile capirlo, ma è il nostro Re. E la domanda da farci è: questo Re dell’universo è il Re della mia esistenza? Io credo a Lui? Come posso celebrarlo Signore di ogni cosa se non diventa anche il Signore della mia vita? E tu che oggi incominci questa strada verso il sacerdozio non dimenticarti che questo è il tuo modello: non aggrapparti agli onori, no. Questo è il tuo modello; se tu non pensi di essere sacerdote come questo Re, meglio fermati lì.
Fissiamo però ancora gli occhi in Gesù Crocifisso. Vedi, Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma Lui rimane lì, a brasa aduerte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti, salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati. «Ma Signore, è vero? Con le mie miserie tu mi ami così?» Ognuno in questo momento pensi alla propria povertà: «Ma, tu mi ami con queste povertà spirituali che ho, con queste limitazioni?».
E Lui sorride e ci fa capire che ci ama e ha dato la vita per noi. Pensiamo un po’ ai nostri limiti, anche alle cose buone: Lui ci ama come noi siamo, come siamo adesso. Lui ci dà la possibilità di regnare nella vita, se ti arrendi al suo amore mite che si propone ma non s’impone – l’amore di Dio non si impone mai – al suo amore che sempre ti perdona. Noi tante volte ci stanchiamo di perdonare la gente e facciamo la croce, facciamo la sepoltura sociale. Lui non si stanca mai di perdonare, mai, mai: sempre ti rimette in piedi, sempre ti restituisce la tua dignità regale. Sì, la salvezza da dove viene? Dal lasciarci amare da Lui, perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela. Mettiamoci spesso davanti al Crocifisso, lasciamoci amare, perché quelle brasa aduerte dischiudono anche a noi il paradiso, come al «buon ladrone». Sentiamo rivolta a noi quella frase, l’unica che Gesù dice oggi dalla croce: «Con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).
Questo vuole e vuol dirci Dio, a tutti noi, ogni volta che ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, no: un Dio vicino, la vicinanza è lo stile di Dio: la vicinanza, con tenerezza e misericordia. Questo è lo stile di Dio, non ha un altro stile. Vicino, misericordioso e tenero. Tenero e compassionevole, le cui braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re!”.
Foto: Cristo Pantocratore del Duomo di Monreale
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