All’inizio del tempo di Avvento, la Chiesa proclama un testo evangelico che (nel suo contesto) ci parla della fine del Tempio di Gerusalemme e quindi della fine del mondo. Per gli ebrei la distruzione della casa di Dio, era il presagio della fine del mondo, perché una terra senza l’abitazione dell’Altissimo, non può sopravvivere. 

“Il discorso di Gesù – commenta don Giacomo Falco Brini-, prende le mosse da alcuni che, pur avendo ascoltato di lì a poco la raccomandazione del Maestro a guardarsi da una religiosità apparente e priva di interiorità, rimangono estasiati per le pietre preziose e i doni votivi del Tempio di Gerusalemme, ricevendo subito da Gesù, la tremenda profezia della sua distruzione. Alla richiesta di essi circa il tempo di detta distruzione, il maestro, avvia quello che chiamiamo un discorso “escatologico”, poiché la fine di Gerusalemme annunciata diventa come un’anticipazione della fine del mondo, senza però che si riesca a distinguere nettamente questa da quella. Il messaggio che c’è dentro è tuttavia semplice. Non importa se la fine del mondo è vicina o lontana nel tempo. Quel che importa è che occorre essere sempre pronti per la venuta del Signore. Il suo ritorno è certo. Quel che importa è capire cosa significhi vegliare in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

Dunque,  vigilare, per cogliere la presenza salvifica di Cristo, significa stare svegli e pregare. “Il sonno interiore – chiarisce Papa Benedetto XVI-, nasce dal girare sempre attorno a noi stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita coi suoi problemi, le sue gioie e i suoi dolori, ma sempre girare intorno a noi stessi. E questo stanca, questo annoia, questo chiude alla speranza. Si trova qui la radice del torpore e della pigrizia di cui parla il Vangelo. L’Avvento ci invita a un impegno di vigilanza guardando fuori da noi stessi, allargando la mente e il cuore per aprirci alle necessità della gente, dei fratelli, al desiderio di un mondo nuovo. È il desiderio di tanti popoli martoriati dalla fame, dall’ingiustizia, dalla guerra; è il desiderio dei poveri, dei deboli, degli abbandonati. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita”.

Nell’attesa, del ritorno del Signore, c’è sempre stato chi si sente investito da un sacro furore per annunciare l’imminenza della fine del mondo, offrendo addirittura puntuali coordinate spazio-temporali secondo gli eventi catastrofici naturali o umani che ci circondano. “In realtà – continua don Giacomo Falco Brini-, noi siamo sempre vicini alla fine: quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

Eppure Gesù profetizza sul fatto che una parte dell’umanità vedrà accrescere la sua ansia e paura di vivere, a causa dei molteplici disastri che si abbatteranno sul pianeta: gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Il suo obiettivo però, non è quello di far crescere l’angoscia tra gli uomini, quanto piuttosto di farci concentrare su ciò che dona alla nostra vita più fiducia e speranza. Insomma, se per alcuni gli stessi sconvolgimenti diventano fonte di ansia e paura, per i cristiani sono solo il segno della vicinanza di Dio e della realizzazione della sua promessa di liberazione dal male.

Gesù si raccomanda di stare attenti a noi stessi, il che significa che prima di tutto l’attenzione del discepolo non deve dirigersi verso gli eventi esterni. Il nostro cuore è la prima realtà di cui occuparci, poiché continuamente minacciato da dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita che l’appesantiscono. Nella grande desertificazione spirituale odierna, rischiamo di vedere il male agire sempre fuori da noi, mentre Gesù invita i suoi a occuparsi di sé stessi, perché nessuno è indenne dalla sua azione; se infatti non si coltiva questa attenzione verso sé stessi, quel giorno ci piomberà all’improvviso. Quel giorno si riferisce alla sua seconda venuta, che si può intendere sia come la sua venuta gloriosa per il giudizio finale sull’umanità, ma anche la sua venuta alla nostra morte. Ecco allora che, mentre il discepolo impara a vivere un’attesa serena difronte alle incipienti catastrofi umane e naturali, chi non si occupa di quanto avviene nel proprio cuore e si lascia trascinare dalle preoccupazioni del mondo, vivrà un’attesa diametralmente opposta, dominata dalla paura di quanto deve accadere”.

Segui Porta di Servizio

Seguici sul nostro canale WhatsApp oppure qui t.me/portadiservizio sul gruppo Telegram.

Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.