Una voce, quella di Biagio Conte, che continua a “risuonare” per la Chiesa di Palermo, per la città, per il mondo intero, “nonostante una rumorosa ostentata sordità, a volte, sembra metterla a tacere”. Una voce capace di arrivare al cuore, scuotere, provocare, indirizzare: “Ora Biagio parla ancora di più con il suo silenzio che narra tutta la sua vita”.
Sono le parole con cui l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ha voluto ricordare Biagio Conte a due anni dalla sua morte. Nell’omelia tenuta alla Missione di Speranza e Carità, Lorefice non ha esitato a paragonare il missionario laico al profeta Isaia, al Cristo che sale sul monte a pregare, all’anacoreta che si apparta per dialogare col Padre, al Poverello di Assisi.
“Lo sguardo e la voce di Biagio riflettevano lo sguardo e la voce di Dio – ha detto il presule -. Se ‘laicizziamo’ Biagio, se lo costringiamo cinicamente entro visioni ed etichette di parte, perdiamo la comprensione profonda del suo volto, delle sue parole, dei suoi gesti e della sua opera. Lo travisiamo e lo tradiamo. E non ce lo possiamo permettere. Non lo dobbiamo permettere a nessuno. Non possiamo vanificare il dono fatto alla nostra città e alla nostra Chiesa. Al mondo e alla Chiesa interi”.
Biagio Conte, “uomo cristificato”, guidato dalla fede ricevuta in dono nel Battesimo, capace di uno sguardo profondo donatogli dalla speranza e infiammato dalla carità, tanto da chiamare la sua missione con due delle tre virtù teologali. “E’ la fede in Gesù, la fede della Chiesa che ha portato fratel Biagio a seminare ovunque speranza e carità”.
Un uomo capace di non annunciare se stesso, di non mettersi in mostra ma di farsi voce di Gesù, nell’umiltà. “’Piccolo’ era l’unico titolo onorifico che si attribuiva. Consapevole fino all’ultimo che i segni posti – tali sono le opere, solo segni – devono rimanere tali, rimando del Regno, giammai assolutizzati o, peggio ancora, assoggettati ad altri ‘regni umani’ o manipolati da altre logiche”.
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