Abbiamo letto che il 3 marzo si apre il processo di canonizzazione di Padre Matteo La Grua, morto a 97 anni nel 2012. L’ho conosciuto, o meglio, l’ho intravisto prima da lontano in uno dei suoi affollatissimi incontri dentro la chiesa della Noce e poi più da vicino un’altra volta.
Attorniato da tante persone, bambini, giovanissimi, adulti, anziani, vecchi. Ciascuno o ciascuna accompagnati dalle famiglie con carichi di dolore, fisico o spirituale, da affrontare sicuramente, da risolvere se possibile, e comunque da alleggerire.
Perché se hai qualcuno che per un momento prende su di sé il tuo carico di dramma, la tua sofferenza e a questo aggiunge quantomeno un tentativo di trovare se non la risoluzione, almeno un riparo, almeno vai via con un’altra prospettiva e con punti di domanda meno acuminati. E non è neppure necessario, figuriamoci obbligatorio, che tu condivida la prospettiva teologica o di fede di chi interviene.
Una porta sempre aperta
Quando un medico si china su chi soffre non chiede la carta d’identità. I biografi di padre Matteo ci raccontano che sino agli ultimi giorni della sua esistenza vegliarda, chiunque, da qualsiasi parte del mondo, bussava alla sua porta. Che veniva regolarmente aperta per essere sorretti, per pregare insieme o solo per un colloquio. Il religioso affermava che “i bisogni della gente non vanno mai in pensione. Di conseguenza, nemmeno i sacerdoti”. Possiamo dire che il processo di canonizzazione inizia per una persona che si è spesa trasversalmente per il popolo.
Visto che il dolore, i passaggi in mezzo al guado, gli strappi delle esistenze, democraticamente bagnano sia le case povere sia quelle ricche. C’era una porta dove si bussava, in palermitano si “tuppuliava” nel cortile di via Ruggerone da Palermo, era un accesso del convento dove il padre viveva, proprio sul retro della chiesa Sacro Cuore di Gesù, alla Noce.
Il segno nella Chiesa di Palermo
Nel Vangelo di Luca (11, 5-13) troviamo scritto: “Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. Certamente chiunque bussava per chiedere, per cercare, trovava aperto e riceveva. Ma pure dava.
Non c’è nessun dialogo, neppure il più chiuso e impenetrabile, che non abbia tale processo bilaterale sempre attivo. Il cardinale Salvatore Pappalardo, che ha reso un servizio fondamentale in tempi durissimi alla Chiesa di Palermo, evidentemente riconoscendolo come guida, gli conferì il mandato di guidare i carismatici a Palermo.
Un altro arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo, il giorno dei funerali ebbe modo di constatare il lascito di Matteo La Grua dal fatto che la cattedrale era strapiena di laici e credenti come poche volte è accaduto. Ammesso che si possa mettere sulle vite di ciascuno di noi un marchio, un bollo univoco.
Quando mi chiedono se credo a qualcosa riferendosi ad una confessione religiosa, rispondo che credo in tante cose. Forse troppe. Recentemente soltanto con un altro personaggio di uguale spessore come Biagio Conte, che ha pure lui curato i corpi dilaniati in altro modo dalla fame e dall’indigenza, il duomo palermitano è stato stracolmo.
Quando sei morto e ricevi un tributo di folla forse è il segno che la direzione era quella giusta. Vedi anche i funerali di Falcone, Borsellino, don Pino Puglisi, Peppino Impastato.
Adesso tocca a un altro arcivescovo, don Corrado Lorefice, che in piazza Pretoria il giorno del suo insediamento, ero sotto il palco, citò l’articolo 3 della costituzione, presiedere all’avvio del processo di canonizzazione di Padre La Grua.
Segno che la sua figura sino ad oggi ha toccato, da Pappalardo in poi, più di cinquant’anni di storia della Chiesa palermitana. E ancora questa storia proseguirà.
Ascolto e cura
Un libro pubblicato nel 2001 e scritto a quattro mani anche da Padre La Grua ha il seguente titolo: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. È un richiamo alla vita e alle parole di Gesù. Ma è pure un forte incitamento, mi piace pensare, a ciascuno a farsi ascolto e perciò cura.
Credo che alla fine sia il percorso che una figura come Padre La Grua indica a tutti. Certamente a chi scrive. Magari a pochi è dato di avere lo spessore di santità del sacerdote della Noce, nativo di Castelbuono. Ma a tutti, basta volerlo, può essere riconosciuta la capacità, se non di guarire, di provare a lenire le angoscianti salite di chi arranca sui viali non illuminati dell’esistenza.
Per approfondire
Padre La Grua, via al processo diocesano di canonizzazione
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