In una minuscola via, così corta che quasi non c’era abbastanza spazio per potervi scrivere il nome, si trovava un negozio di giocattoli. Non si vendeva merce comune, che puoi trovare identica nei negozi di ogni paese, ma articoli speciali, costruiti dal Signor Giuseppe Semente, proprietario del locale. Il Signor Giuseppe Semente dietro al bancone del negozio, illuminato dall’ampia vetrina in cui trovavano posto le opere ultimate, aveva un laboratorio in cui ideava e costruiva con le proprie mani giocattoli meravigliosi.

La gente passava apposta in questa zona della città, per poter ammirare trenini sbuffanti vapore azzurrognolo che rallentavano quasi per magia quando si avvicinavano alla stazione, dove minuscoli omini meccanici caricavano le merci sulle carrozze. E poi automobiline con il motore vero, però alimentato ad aranciata, bambole che cullavano strillanti marmocchi, orsacchiotti che camminavano e ritornavano autonomamente sul proprio scaffale quando venivano dimenticati in giro… I papà, con la scusa di far vedere ai propri figli i giocattoli esposti in vetrina, se ne stavano ore con la bocca spalancata davanti al negozio, finché i bambini stanchi di star fermi cominciavano a tirarli per le mani dicendo: “dai papà, adesso andiamo un po’ al parco!”.

Una mattina si sentì Giuseppe chiamare:”Aristide…Aristideeee!”. Aristide era l’aiutante, con il compito di servire i clienti mentre il proprietario armeggiava nel laboratorio tra le sue creazioni. “Che c’è?” rispose Aristide sbadigliando, “…è ancora troppo presto per aprire il negozio”.

Vieni a vedere il mio ultimo giocattolo!”.

Aristide si alzò dal suo cantuccio e si spostò nel laboratorio dove, davanti ad un robottino non più alto di un palmo, se ne stava il Signor Giuseppe tutto soddisfatto.

Beh, tutto qui?“ disse guardando il giocattolo. “Ne ha già inventati tanti di pupazzi, che ha di nuovo questo?”

Vedi, caro Aristide, questo non è come gli altri pupazzi. Questo robot intanto è alimentato con dei piccoli pannelli solari e da quando lo accendi, tranne la notte in cui si riposa, non smette mai più di funzionare. Inoltre (e qui sta la particolarità che mi rende così orgoglioso di lui) ho inserito nel suo programma solo alcuni movimenti, ma lui è in grado di impararne moltissimi altri. Può anche di imparare a parlare con il tempo, io per ora gli ho inserito soltanto alcune sillabe”.

Crede che potrebbe piacere ai bambini un giocattolo simile?” chiese Aristide dubbioso. “In fondo è soltanto un robot che, quando verrà acceso, non saprà fare molto. Ne vendono di migliori in altri negozi.”

Vedrai che ai bambini piacerà, perché crescerà con loro e saprà sempre stupirli con le cose che imparerà a fare.”

Mentre i due parlavano così animatamente, non si accorsero che il signor Ernesto Zizzanea, proprietario del più grande negozio di giocattoli della città, attirato dalle voci, si era messo ad origliare dalla vetrina della bottega. “Caspita” pensava tra sé “già gli affari non stanno andando molto bene da quando ci sono in circolazione i giocattoli del Signor Semente. Figuriamoci cosa succederà adesso. I bambini vorranno sempre giocare con il loro robot, senza stancarsi mai, e non vorranno più comprare altri giocattoli”.

Allora architettò un piano diabolico.

Da quel giorno, tutte le mattine, prima dell’apertura del negozio del Signor Giuseppe, due occhi attenti controllavano quali giocattoli venivano preparati nella vetrina. Finché i nuovi robot furono pronti e Aristide, la sera, li sistemò per bene nella vetrina in modo che l’indomani potessero essere visti dai bambini.

Una mano ingnota (ma siamo proprio sicuri di non conoscere a chi appartenesse?) quella mattina, prima dell’apertura del negozio, forzò la serratura della porta è gettò sopra i robot una polvere finissima, quasi invisibile. Con uno straccio diede una pulita veloce agli scaffali in modo da non lasciare alcuna traccia del misfatto e poi, silenziosamente richiuse la porta.

Venne l’orario di apertura e il Signor Giuseppe, che non stava più nella pelle, mise in funzione tutti i robot. Questi, come se nulla fosse accaduto, si misero a compiere quei pochi movimenti e quei pochi suoni programmati dal costruttore. Su un grande cartello colorato, il signor Aristide, con la sua bella calligrafia aveva scritto “Questo giocattolo impara a muoversi ed a parlare. Funziona per sempre, senza batterie”.

Come previsto i robot andarono a ruba. In pochi giorni, di tutti quelli preparati dal Signor Semente non ne rimase neppure uno.

Poi accadde!

Un ragazzino entrò un giorno nel negozio con uno dei robot in mano. “Il mio robot si è fermato” disse ad Aristide che lo guardava da dietro il bancone. “Come è possibile?” Disse il Signor Giuseppe uscendo trafelato dal laboratorio, “non era costruito per fermarsi”. In quel momento un altro bambino entrò nel negozio, anche lui con un robot in mano. “Il mio giocattolo non impara più cose nuove. Anzi, sta addirittura dimenticando quelle che già aveva imparato a fare”.

Giuseppe non sapeva capacitarsi della cosa. Riusciva solo a ripetere: “non è possibile, non sono stati fatti così”. Ma altri bambini tornarono, chi con il robot malfunzionante, chi con il robot immobile. “Può fermare il mio robot?” chiese un ragazzino, ”si sta comportando in modo strano e a volte mi prende anche a calci!”.

Dopo aver riflettuto Giuseppe rispose ai presenti:”i robot non si possono spegnere, anche se evidentemente qualcosa li ha danneggiati e non si comportano come avevo previsto. Non sono giocattoli come gli altri, perché da quando li ho accesi hanno comunque imparato qualcosa e ora sono diversi da come erano appena usciti dalle mie mani. “Prese invece uno dei robot non più funzionanti. Con delicatezza lo poggiò sul tavolo da lavoro e cominciò a separarne i vari componenti.

Fu così che si accorse della polvere messa dal signor Ernesto. “Ecco cosa è stato!” mormorò. Prese un pennello e cominciò a togliere la polvere da ciascun pezzo, poi li rimontò e … il robot riprese a funzionare. Ma non si muoveva come all’inizio, il giorno in cui fu venduto, ma in modo disinvolto, e cominciò pure a parlare. “Grazie, mi sento molto meglio ora” disse al fabbricante di giocattoli. Si voltò, riconobbe il bambino che lo aveva portato nel negozio e gli saltò in braccio. “Torniamo a giocare, vedrai che ora non ti farò più i dispetti” disse al bambino raggiante di gioia.

Allora il Signor Giuseppe si rivolse ai presenti:”Ho trovato la soluzione a questo guaio. Costruirò un nuovo robot e lo custodirò nella vetrina della mia bottega. Gli insegnerò io stesso a muoversi e a parlare, in modo che diventi proprio come lo avevo immaginato. Voi bambini vedrete così come potrà diventare il vostro giocattolo, dopo che sarà stato ripulito di tutta quella polvere che lo ha guastato”.

Così fu fatto.

I bambini con un robot che ne combinava di tutti i colori si mangiavano con gli occhi quel meraviglioso giocattolo che si muoveva nella vetrina di Giuseppe e pensavano con gioia a quando anche il loro sarebbe diventato simile a quello.

Il signor Ernesto invece continuò a perdere clienti, finché fu costretto a chiudere l’attività. Cercava sempre, quando poteva, di rompere i giocattoli del Signor Semente, magari se qualche bambino distratto lo lasciava per strada o su una panchina nel parco; ma il giocattolaio era troppo bravo e con pazienza infinita riusciva sempre a riparare i danni e a far tornare contenti i bambini.

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Di Luigi e Sole

Luigi Larocchi e Sole Spatola, un geologo e un’insegnante di lettere. Per la verità era insegnante anche Luigi, di matematica, ma, per non traumatizzare troppo i nostri ragazzi con due insegnanti in famiglia, Luigi ha cambiato lavoro. Siamo sposati e abbiamo tre figli che, dopo essere cresciuti, cresciuti, cresciuti come la pianta di fagioli di Jack, ora sono diventati tre Watussi di quasi due metri. Per loro, quando erano piccoli e gli rimboccavamo le coperte, scrivevamo dei racconti; un po’ per gioco, un po’ perché ci piaceva. Ora che loro hanno cominciato a vivere la loro personale avventura, nei pochi ritagli di tempo libero che ci restano dai rispettivi lavori, corsi di laurea, scout, direzione di coro ecc … continuiamo a scrivere sempre per gioco, sempre per divertimento.