L’omelia dell’Arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, per le esequie di Sara Campanella, la studentessa uccisa a Messina. Il rito è stato celebrato nella Chiesa Madre di Misilmeri.

Siamo qui, sconvolti. Senza parole. Dinnanzi al corpo di Sara. Corpo martoriato. Sacrificato. Vita che ci è stata rubata. Perché? Ancora una volta, risuona un grido: perché? Perché questo strazio indicibile inflitto ai cari genitori Cetty e Alessandro, al fratello Claudio, ai familiari, al fidanzato, agli amici, alla città intera? Una vita distrutta e rubata troppo presto, in modo oltremodo crudele. L’uomo – dice la Bibbia – ha due strade: quella della relazione e quella della violenza. Ma vediamo come la violenza abbia ancora distrutto la bellezza di Sara, la bellezza delle sue relazioni, la bellezza che lei aveva il compito di far crescere nel mondo attraverso i suoi studi universitari, la realizzazione della sua vocazione professionale e la relazione con l’uomo che lei liberamente aveva scelto di amare.

Senza parole. In certi momenti si vorrebbe solo stare in silenzio e piangere sommessamente un dolore indicibile, inaudito. Un corpo che esplodeva di vita, il corpo di Sara è davanti a noi, esanime e sfigurato da un’inaudita incomprensibile violenza.

E in questo corpo trafitto ci sembra che sia racchiuso il dolore di un mondo nel quale ancora domina la violenza. In particolare sulle donne. Oggi, in questo mondo sempre più segnato da violenta brutalità e lacerato da conflitti, assistiamo alla barbarie di corpi abusati, mutilati, eliminati, ricacciati e rinchiusi in luoghi di tortura. Ma la violenza, ogni forma di violenza, per qualsiasi motivo si scateni, è sempre un fallimento che riguarda tutti. Dice il raffreddamento dell’amore nei cuori di molti. L’avanzare dell’indifferenza che causa solitudine. La perdita del senso ultimo della vita. La mancata comprensione dell’amore. L’amore non uccide. È assurdo! Etty Hillesum – giovane donna deportata e morta il 30 novembre 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz – scriveva nel suo diario: «Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto in me, mi sembra evidente che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, l’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi è un pezzetto di te in noi, e forse contribuire a disseppellirti dai tanti cuori devastati» (Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi 1996, pp.169-170).

Nel corpo di Sara piangiamo il destino dell’umanità quando essa sceglie la violenza, la morte. Non ci sono parole per consolare il vostro strazio, cari genitori. Siamo in silenzio con voi. E vi doniamo le nostre lacrime. L’intera famiglia umana oggi piange Sara.

E noi qui, stamattina, anzitutto la consegniamo ad un Corpo che è stato anch’esso martoriato e ucciso: il Corpo crocifisso di Gesù di Nazareth. Ucciso con violenza da uomini che non sapevano quello che facevano (cfr Lc 23,34). Perché chiunque è violento non sa che la violenza ha la forza distruttiva di una bomba all’idrogeno: provoca una deflagrazione a cascata. Nel costato di Cristo, aperto e trafitto con violenza, entrano tutti i cuori lacerati dalla violenza. I cuori lacerati dei familiari di Sara. I cuori di noi tutti. Non abbiamo parole da darvi, sorelle e fratelli. Solo un Corpo, un Cuore, dentro il quale piangere il dolore senza fine della vostra e nostra ‘piccola’ Sara.

Ma il cuore di Cristo attende anche il dolore – che deve essere dilaniante – e il pentimento, a caro prezzo certamente, di coloro che provocano violenza. La nostra ribellione, la nostra condanna si ferma. Pensiamo a quel verso, citato da Francesco Carnelutti, che fu scritto per placare dei cuori distrutti dal dolore, di fronte ai loro carnefici: “Vedo nei tuoi occhi tutta la mia possibilità di male”. Anche il dolore di chi è colpevole ha diritto ad entrare nel cuore di Cristo.

Gesù nel Vangelo dice agli affaticati e agli oppressi: «Venite a me!» (Mt 11, 28). Io oggi ripeto il suo invito: “Venite nel riposo di Cristo”. Vieni Sara nel suo cuore! Il tuo corpo sfigurato dalla violenza sarà trasfigurato dall’ardente amore di Dio che ti ha dato vita e bellezza. Egli – come nostro Padre ‒ non sopporta la corruzione del sepolcro e non permetterà che la tua vita sia sprecata (cfr Sal 15,10; At 2,27). Perché Dio che «è Amore» (1Gv 4,8.16), trova sempre la via della Pasqua, la via della rinascita, la via della vita. La tua bellezza insanguinata e oltraggiata, nel Crocifisso Risorto splenderà per l’eternità.

Venite a Lui, al suo amore, alla sua misericordia, voi a cui Sara è stata strappata: tu mamma Cetty, tu papà Alessandro, tu Claudio suo amato fratello. Voi suoi amici. Solo nostro Signore, che è morto trafitto nell’abbandono della croce, dopo aver squarciato con un grido il silenzio del Padre, solo Lui sa come starvi vicini. In silenzio. Accogliendo il vostro silenzio e il vostro grido, la vostra ribellione e la vostra disperazione. Il vostro desiderio di riabbracciare per sempre Sara. Di comunione eterna, che solo Dio può dare!

A Lui vengano oggi anche tutti quelli che fanno e hanno fatto violenza, perché alla sua luce comprenderanno il loro gesto aberrante. Piangeranno lacrime amare e potranno essere purificati dal Sangue di Cristo.

Carissime, carissimi andiamo tutti insieme al Signore, al suo riposo, al suo abbraccio, al suo cuore. «Perché forte è il suo amore per noi» (Sal 116,2). Per imparare che solo l’amore è garanzia di bellezza, che solo se ci amiamo gli uni gli altri saremo felici, che solo la relazione rende preziosi i legami, che solo il rispetto della dignità dell’altro – dei bambini e delle donne anzitutto! – ci sarà garanzia di un futuro umano. Solo se riconosciamo ogni essere umano – «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», come ci ricorda la Costituzione italiana – ci potranno essere città sicure, libere da ogni forma di violenza e sopraffazione, e la pace duratura nel mondo.

«Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,7-8). È la logica di questo amore, di questa accoglienza, che risuona nel Vangelo che abbiamo proclamato: Dio è dalla parte di coloro che piangono, che soffrono, che sono poveri e senza difesa, misericordiosi, miti, puri di cuore (cfr Lc 6,7-12).  Costoro Dio non li abbandona, perché Lui è fatto così. Li proclama beati. Li rialza. Li rimette in cammino, «en marche» (André Chouraqui). Ama gli oppressi: dalla vita, dalla violenza, dal peccato. In maniera scandalosa e incontrastabile, Dio rovescia il tavolo della storia dei grandi e dei forti, ponendovi sopra una parola contraria a quella del potere e della violenza, della ricchezza e del sopruso, dell’io bramoso e possessivo.

In questo annuncio di oggi ci raggiunge un paradosso ma ci rianima una speranza. Non siamo soli. Dove sembrano regnare la povertà, l’abbandono, dove ci sentiamo ultimi e senza futuro, Dio fa accadere oggi il suo futuro, apre le porte di un Regno che non è per domani, ma ‘oggi’. In una maniera che ci resta nascosta e che pure intuiamo ogni volta che si manifesta l’amore, ogni volta che l’amore, la relazione amante, sconfessa e contesta la menzogna della violenza. Da questa parola siamo tutti interpellati. Nessuno la può ascoltare sentendosi giusto. Ma guardando a questo Dio siamo chiamati a porre i segni dell’amore, ad affrontare quotidianamente la violenza con il bene, con l’amore, a rischiare per contrastarla, dentro e fuori di noi. «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore» (1Gv 4, 19-20).

Scegliamo il sogno di Cristo. Il sogno dell’amore. Lo dobbiamo a Sara e a tutte le vittime dell’odio e della violenza, alle nuove generazioni. Contribuiamo insieme a costruire una città umana che, come ci ricorda Papa Francesco, «rispetta la vita e offre speranze di vita […], che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. […] che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. […] dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. […] che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti» (Discorso per il conferimento del Premio Internazionale Carlo Magno 2016, 6 maggio 2016).

Ci sia compagna in questo viaggio di conversione e di speranza la Vergine Maria, colei che nell’ormai vicina Settimana Santa chiameremo “l’Addolorata”, perché vide per prima nel suo Figlio sul Golgota tutto il dolore e tutta la violenza nel mondo, e ne fu trafitta, secondo la profezia del vecchio Simeone (cfr Lc 2,34-35). Oggi la Mater dolorosa ci abbracci e ci conduca dinanzi al Cristo, al cospetto del Padre, a sentire e a capire, quasi al di là di noi, come nell’amore innocente tradito e abbattuto si celi la potenza, si nasconda l’energia trasfigurante della risurrezione. «Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,7).

Annunciandovi questa speranza, ascoltando questa parola, vi abbraccio con affetto profondo di padre e di fratello, consegnando con voi e per voi la cara Sara, la nostra Sara, nelle braccia del Padre, al suo abbraccio che non delude e non finisce.

Foto tratta da Adnkronos – sara_campanella_bara_fg_ipa

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Di Michelangelo Nasca

Direttore Responsabile, giornalista vaticanista, docente di Teologia Dogmatica. È presidente dell’emittente radiofonica dell’Arcidiocesi di Palermo, “Radio Spazio Noi”, e dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), sezione di Palermo.