Proviamo, per un istante, a compiere un breve ma significativo ragionamento “per assurdo”!
Se Gesù, piuttosto che incarnarsi facendosi uomo, si fosse rivelato al mondo in modo spirituale, dando cioè all’uomo il privilegio di poterlo vedere realmente in tutto il suo splendore – privo però della propria corporeità – probabilmente gli avremmo rivolto la seguente obiezione: «Caro Gesù, mi chiedi di avere fede nonostante le fatiche che nella vita siamo chiamati a superare… Sì, è vero, io posso vederti e constatare che sei Dio. Tu, però, non sai cosa vuol dire sofferenza, non conosci gli spasimi del dolore umano; non puoi comprendere cosa vuol dire sentirsi abbandonati e rifiutati da tutti, non sai quanto sia alto il prezzo della nostra esistenza… tu sei Dio, ma non hai un corpo come noi!».
Se tale ipotesi si fosse realizzata davvero, il nostro credere non avrebbe avuto nessun valore oggettivo e sarebbe rimasto privo di senso; non esisterebbero i sacramenti, non esisterebbe la chiesa, i santi… e il corpo sarebbe solo, come affermava Platone, l’involucro dove l’anima è imprigionata!
Dio, rispetto a Platone, ha invece una stima maggiore nei confronti dell’uomo. Egli è un “galantuomo”, direbbe Péguy, e non teme di entrare nella storia degli uomini per stabilire con loro una alleanza definitiva.
Gesù si incarna, si fa uomo per prendere parte ai misteri della vita dell’uomo. Egli fa della nostra sofferenza la sua sofferenza, anzi fa di più: prende su di sé il peccato del mondo per redimerci e paga il prezzo del nostro riscatto con la sua stessa vita, nel suo stesso corpo.
Il mistero del Natale non ci chiede di ricordare semplicemente l’anniversario della nascita di Cristo; il Natale è piuttosto un invito a togliere i sigilli che sbarrano l’ingresso del nostro cuore, per permettere a Dio di nascere in noi.
Per questo possiamo dire che Cristo è l’amore di Dio fatto persona!