L’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice aveva dichiarato tramite un comunicato che lunedì 15 aprile, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, avrebbe preso possesso nella diocesi di Roma, del titolo di Sant’Onofrio. Tutto era pronto. Ma gli eventi delle ultime ore hanno convinto il Patriarca a rimandare la data. Un atto grave, che segnala senza soluzione di continuità la drammiaticità dell’allargamento del conflitto tra l’Iran e Israele.
Nonostante gli innumerevoli appelli a cercare vie di pace, di riconciliazione e di fraternità, sembra invece che i potenti della terra vadano nella direzione opposta: alimentare la guerra come risposta agli attacchi terroristici contro Israele. Il conflitto si è ulteriormente aggravato nel momento in cui è stata oltrepassata la linea rossa, quando israele ha attaccato l’ambasciata iraniana in Siria, violando così il diritto internazionale. “Con l’attacco all’ambasciata iraniana, del primo aprile, ampiamente attribuito a Israele – sottolinea Francesco Petronella-, anche in assenza di un’assunzione ufficiale di responsabilità, Tel Aviv ha dimostrato di poter colpire i luoghi e le persone simbolo della presenza iraniana nella regione.
Il raid, che ha provocato la morte di diversi pasdaran, tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi, ha mostrato caratteristiche diverse rispetto agli attacchi che Israele compie ormai da anni in territorio siriano, quasi sempre senza rivendicarli. Se di solito, infatti, le incursioni in Siria delle Forze di difesa israeliane (Idf) prendono di mira depositi di armi e infrastrutture della rete di gruppi e milizie filoiraniane, in questo caso ad essere colpita è stata la sede diplomatica ufficiale di un paese membro delle Nazioni Unite, in una chiara violazione del diritto consuetudinario internazionale, che vede ambasciate e consolati come luoghi “inviolabili”. L’iniziativa, ancor più grave se si considera che è stata compiuta a danno di un paese ufficialmente non belligerante nel territorio di un altro paese non belligerante, è una sorta di stress test per Teheran, la cui risposta – già annunciata dalle autorità iraniane – come abbiamo potuto costatare la notte scorsa, ha ulteriormente aumentato la tensione e ha provocato un allargamento, stavolta serio, dell’escalation iniziata il 7 ottobre scorso a Gaza e in Israele”.
Secondo fonti aperte non confermate ufficialmente, l’attacco iraniano annunciato come rappresaglia a quello compiuto a Damasco, ha causato la morte di 44 ufficiali militari del Mossad (il servizio di intelligenze israeliano), uccisi nella base aerea di Navatim, epicentro se così possiamo dire, dell’annunciato attacco iraniano contro Israele. Nella base, oltre al dispiegamento di squadriglie di aerei F-35, c’era anche un hangar per gli aerei spia, utlilizzati dai servizi segreti per le attività informative. Dunque possiamo tristemente appuntare che l’obiettivo principale era quello di colpire il centro di intelligence israeliano al confine con la Siria, da dove appunto parte il coordinamento per le azioni miltari di Israele nella regione.
Da parta Israeliana, certamente non si farà attendere una risposta, così come già dichiarato dalle massime autorità dello Stato. Secondo l’All Street Journal, Israele si sta preparando a un attacco diretto all’Iran sul suo territorio nelle prossime 24-48 ore. Ma la mappa del conflitto non si ferma qui. In Cisgiordania, cresce la tensione. Un gruppo di coloni armati ha lanciato un nuovo attacco al villaggio di Khirbet Abu Falah, a nord-est di Ramallah, ferendo almeno quattro palestinesi, secondo l’agenzia di stampa statale Wafa. I coloni hanno anche incendiato diversi veicoli. Solo poche ore prima, altricoloni hanno attaccato un altro centro nei pressi di Ramallah, al-Mughayir: nel blitz un palestinese è rimasto ucciso.
Contemporeanamente all’attacco iraniano, gli Herzebollah libanesi, hanno lanciato decine di razzi intercettati dal sistema di sicurezza israeliano. I razzi sono stati lanciati notte dal sud del Libano verso il nord di Israele, causando l’attivazione delle sirene nelle comunità di Dafna, Snir, Hagoshrim, Dan e altri insediamenti. Fortunatamente, non ci sono stati segnalati feriti grazie all’efficace neutralizzazione da parte del sistema di difesa Iron Dome. Nel frattempo, le Forze di difesa israeliane hanno dichiarato di aver colpito un grande complesso di Hezbollah nell’area di Rihan, situata nel sud del Libano. Secondo un tweet dell’IDF, il complesso includeva diversi edifici e una postazione militare del gruppo sciita libanese.
I fronti aperti sono numerosi. Le questioni di risolvere sono tantissime. Certo, non possiamo dimenticare la sitazione disastrosa a Gaza, dove ogni istante si consumano violenze, in nome di una vendetta cieca e senza via di uscita. In questo contesto fortemente polarizzato, dove muoiono ogni giorno centianaia di bambini, uomini, donne, soldati, anziani, da ambo le parti, non possiamo non rivolegre l’attenzione ai cristiani che vivono nel mezzo dei conflitti.
La situazione della Chiesa – afferma il Patriarca Pizzaballa-, risente della situazione generale del Paese, dove è in corso un conflitto divisivo, che sta lacerando le vite di israeliani e di palestinesi e che rappresenta una novità per la sua intensità. La nostra Chiesa è composta da israeliani e palestinesi, che spesso hanno prospettive e visioni anche molto diverse gli uni dagli altri. Vivono una situazione di estrema difficoltà, dal punto di vista politico, sociale ed economico, che solleva molte domande in tutta la popolazione e anche nella Chiesa. In un momento molto, molto difficile, la nostra comunità resta attaccata alla propria fede, ponendosi però tante domande su come vivere da cristiani dentro questo conflitto così lacerante.
Siamo davanti ad una situazione molto grave scoppiata improvvisamente, senza troppi preavvisi. È una campagna militare da ambo i lati e che ora coinvolge altri attori in modo attivo, molto preoccupante per le forme, per le dinamiche e per l’ampiezza. La comunità internazionale deve ritornare a prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente. Gli accordi diplomatici, quelli economici non cancellano un dato di fatto: esiste una questione israelo-palestinese che ha bisogno di essere risolta e che attende una soluzione, e a cui la comunità internazionale deve dare un contributo significativo.
Come possiamo fermare la guerra? Come possiamo promuovere la pace? Lo ha ricordato Il patriarca dei Latini scrivendo alla diocesi di Gerusalemme in occasione della giornata di preghiera per la pace voluta da Papa Francesco per il 27 ottobre scorso. Pizzaballa, ha duramente condannato gli attacchi contro Israele e i bombardamenti su Gaza. Solo la fine di decenni di occupazione e una prospettiva nazionale chiara per la Palestina possono portare alla fine del conflitto. Se non si risolve questo problema alla radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti speriamo. Le tragedie di questi giorni devono indurre tutti: religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, a un impegno più serio di quello che è stato fatto finora. Solo così si potranno evitare altri conflitti e guerre come quella che stiamo vivendo. Lo dobbiamo alle tante vittime causate dall’odio e dalle incomprensioni.
In fine, accogliamo l’accorato invito al Regina coeli di Papa Francesco: “si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio Oriente in un conflitto bellico ancora più grande”. La paura è di arrivare sulla soglia di quella che più volte il Pontefice ha evocato come una terza guerra mondiale a pezzi, secondo un’ormai celebre sua definizione.
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