La Liturgia della Parola di questa XXIX domenica del tempo ordinario, presenta tre letture unite dal filo rosso del sangue e della sofferenza. La prima lettura che è un frammento tratto dal quarto carme del Servo del Signore, un testo celebre soprattutto nella rilettura messianica cristiana. Questo misterioso personaggio entra in scena sotto l’immagine di un virgulto che è spuntato in un deserto solitario. È un uomo isolato, quindi; non ha antecessori gloriosi. Il suo stesso esistere è un miracolo, è un dono divino, è grazia perché non può essere generato ed alimentato dalla terra arida in cui appare. È l’unica presenza viva all’interno del mondo morto e desolato del peccato umano.

Il suo volto sfigurato: entra nella società suscitando imbarazzo e disprezzo perché si interpreta il suo tormento come castigo divino e quindi si teme il suo contagio. Ma la morte non è la soluzione definitiva verso cui scorre questa vita di dolore innocente. Anzi, la morte fa fiorire il mistero di fecondità che quel virgulto conteneva. Egli – dice il testo -, “giustificava molti” salvandoli col suo dolore espiatorio, ed alla fine contempla Dio stesso nella gloria, insieme con tutti coloro che ha portato alla salvezza. 

È facile a questo punto passare alla seconda lettura tratta da quella grandiosa omelia che è la Lettera agli Ebrei. In scena ora è direttamente il Messia, Gesù Cristo, presentato come “sommo sacerdote perfetto”. Eppure sotto il manto d’oro della sua gloria pasquale, egli porta le stimmate della croce e della sofferenza. Egli è il fratello dell’umanità malata e dolorante perché “Lui stesso è stato provato in ogni cosa”.

Ed è proprio dalle sue labbra che noi conosciamo questa sua scelta. Il brano di Marco che oggi leggiamo contiene, il terzo e ultimo di quegli annunzi della passione e morte che hanno costellato il viaggio di Gesù verso la città del suo martirio. Seguire Gesù, è compiere un viaggio verso la donazione totale a Dio e agli uomini. È davanti a questo messianismo di donazione e non di impero, che scatta la reazione di Giacomo e di Giovanni, discepoli ancora avvolti nei fumi delle illusioni politiche di una religiosità trionfalistica. Alla loro concezione ancorata ad un messianismo di rivendicazione del potere, Gesù oppone il suo messianismo dell’immolazione e della donazione.

Queste parole del Signore, aprono quindi ad una “missione” che è estranea alla logica del mondo, una missione che ha il suo apice nel donare la vita per la salvezza del mondo. Dunque, La missione parte dal cuore: quando ci si ferma a pregare davanti al Crocifisso, con lo sguardo rivolto a quel costato trafitto, non si può non sperimentare dentro di sé la gioia di sapersi amati e il desiderio di amare e di farsi strumenti di misericordia e di riconciliazione.

Così accadde, proprio 800 anni or sono, al giovane Francesco di Assisi, nella chiesetta di San Damiano, che era allora diroccata. Dall’alto della Croce, custodita ora nella Basilica di Santa Chiara, Francesco sentì Gesù dirgli: “Va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Quella “casa” era prima di tutto la sua stessa vita, da “riparare” mediante una vera conversione; era la Chiesa, non quella fatta di mattoni, ma di persone vive, bisognosa sempre di purificazione; era anche l’umanità tutta, nella quale Dio ama abitare.

La missione parte sempre da un cuore trasformato dall’amore di Dio, come testimoniano innumerevoli storie di santi e di martiri, che con modalità differenti hanno speso la vita al servizio del Vangelo.

La missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio; per chi vive con spirito cristiano il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico, parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono.

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Di Don Salvatore Lazzara

Don Salvatore Lazzara (1972). Presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, ordinato Sacerdote dal cardinale Salvatore De Giorgi il 28 giugno 1999. Ha svolto per 24 anni il suo ministero presso l’Ordinariato Militare in Italia, dove ha avuto la gioia di incontrare e conoscere tanti giovani. Ha partecipato a diverse missioni internazionali dapprima in Bosnia ed in seguito in Libano, Siria e Iraq. Ha concluso il servizio presso l’Ordinariato Militare presso la NATO-SHAPE (Bruxelles). Appassionato di giornalismo, dapprima è stato redattore del sito “Papaboys”, e poi direttore del portale “Da Porta Sant’Anna”. Ha collaborato con il quotidiano “Roma” di Napoli, scrivendo e commentando diversi eventi di attualità, politica sociale ed ecclesiale. Inoltre, ha collaborato con la rivista di geopolitica e studi internazionali on-line “Spondasud”; con la rivista ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana “A sua immagine”, con il quotidiano di informazione on-line farodiroma, vatican.va e vatican insider. Nel panorama internazionale si occupa della questione siriana e del Medio Oriente. Ha rivolto la sua attenzione al tema della “cristianofobia” e ai cristiani perseguitati nel mondo, nella prospettiva del dialogo ecumenico ed interreligioso con particolare attenzione agli ebrei ed ai musulmani. Conosce l’Inglese, lo Spagnolo, l’Ebraico e l’Arabo.