All’inizio c’era il deserto assolato, senza fine, vasto oltre l’orizzonte; solo le pietre e la sabbia modellavano il paesaggio. In mezzo al deserto però, in una piccola grotta scavata nella montagna, abitava Jaradin, la bella. Così la chiamavano i carovanieri; quei pochi che con le lunghe file di cammelli, carichi dei tesori dell’Africa nera, osavano rischiare la vita nel mare di dune. Sussurravano il suo nome agli ascoltatori increduli dei bazar di Murazuch, con gli occhi che ancora brillavano nel volto indurito dal sole infuocato dei giorni passati in cammino e dal gelo delle notti trascorse nei ripari improvvisati.
Nessuno ricordava chi per primo l’avesse incontrata. I racconti che la riguardavano si perdevano nella notte dei tempi, come se Jaradin abitasse da sempre quel luogo.
“Ma chi è? Cosa ci fa nel deserto?” Chiedevano gli uomini che si assiepavano per ascoltare i racconti dei carovanieri.
“Si prende cura di due alberi: un Baobab enorme, più alto della cima della montagna, e un alberello bianco, delicato e bellissimo, come non se ne è visti nemmeno nel giardino del sultano” rispondevano i pochi che avevano avuto la gioia di incontrarla.
Passavano gli anni, uno dopo l’altro. Jaradin continuava a prendersi cura dei suoi due alberi, ed i due alberi continuavano a dare riparo e conforto a Jaradin.
Un giorno accadde qualcosa di straordinario: sui rami del grande Baobab apparvero dei frutti. Prima come delicati germogli, poi divennero fiori grandi e gialli. I rami possenti ne erano stracarichi all’inverosimile.
“Jaradin”, chiamò l’albero, “raccogli i miei frutti e piantali qua attorno”.
Jaradin obbediente ad uno ad uno li prese e li mise nel terreno, in piccole buche scavate nella sabbia. Poi, instancabile, dava loro da bere perché non si seccassero sotto i raggi implacabili del sole di mezzogiorno, e li ricopriva di terra per ripararli dal gelo della notte.
Dalle buche emersero finalmente i primi germogli.
“Saranno proprio dei bellissimi alberi”, diceva il gigante all’Albero Bianco ai suoi piedi, “diverranno del tutto simili a te”.
Così avvenne infatti. Il deserto, a poco a poco cominciò a riempirsi di alberi. Sotto gli alberi la sabbia e le pietre si trasformavano in accogliente terriccio e Jaradin continuava a piantare nuovi frutti del grande albero. Era una gioia per i tre guardare crescere il bosco tutto attorno a loro. Non smettevano mai di parlarne. “Hai visto il germoglio che sta crescendo vicino alla grande pietra?” chiedeva il Baobab chinandosi verso l’alberello. “Sì, è proprio bello, sta dischiudendo ora le prime foglioline e sono proprio dello stesso colore delle mie. E quelli vicini alle pendici della montagna? Hai visto che stanno per diventare alti quanto me?” Jaradin li stava ad ascoltare estasiata ed ogni volta che si parlava di uno degli alberi, subito si recava da lui per vedere se era tutto a posto, se c’era luce a sufficienza, se i rami crescevano dritti e robusti o se le radici non si stavano inaridendo.
Sembrava tutto procedere per il meglio, ma un giorno dal deserto arrivarono gli scorpioni. Essi scavarono le loro tane tra le radici degli alberi e cominciarono a nutrirsi delle loro parti più tenere.
“Jaradin … Jaradin”, chiamò il grande Baobab allarmato, “sta accadendo qualcosa agli alberi ai margini del bosco!”.
Jaradin si precipitò sul posto. Alcuni alberelli, tra quelli più lontani dalla radura dove stavano il Baobab e l’Albero Bianco, si stavano trasformando. I loro rami delicati si erano induriti. Erano cominciate a spuntare delle spine al posto delle foglie ed invece di crescere alti e diritti verso il sole, cominciavano a piegarsi verso il terreno ed a strisciare nell’ombra.
“Cosa posso fare?” Chiese Jaradin ai suoi due amati compagni, “non posso sradicarli o farli morire di sete: sono comunque nati dai tuoi frutti”. Così, per quanto contorti e spinosi fossero quei rovi, Jaradin cercava in tutti i modi di non farli seccare del tutto. Spostava almeno i ciottoli più grossi dalle loro radici, cercava di fare arrivare l’acqua anche dove la barriera di spine sembrava impenetrabile. Poco a poco le dita spinose dei rovi cominciarono ad addentrarsi nel fitto del bosco e ad avvolgere una dopo l’altra le piante che trovavano sul loro cammino.
Davanti alla grotta, Jaradin, il grande Baobab e l’Albero Bianco si guardavano in silenzio. “Porta a ciascuno degli alberi ammalati una delle mie foglie”, disse infine l’alberello a Jaradin. “La metterai tra le sue radici, di modo che possa trovarne forza per tornare a crescere bello e sano. Gli scorpioni non potranno mangiare le mie foglie, perché per loro saranno un veleno che li farà fuggire”.
“Ma gli alberi ammalati sono tanti …”, disse triste il Baobab, tu rimarrai senza foglie e morirai”. Ma mentre diceva queste cose, con dolore crescente, si rendeva conto che quella non poteva che essere l’unica soluzione.
Jaradin, con l’usuale lena, cominciò il lavoro. Con mani delicate staccava le foglie dall’alberello Bianco e le metteva tra le radici degli alberi morenti. Avanti e indietro, avanti e indietro, infaticabile! Aveva parole di conforto per tutti, ed era un sollievo per gli alberi ammalati poterla veder passare tra le fronde del bosco.
“Grande Baobab, sento che sto per morire” disse infine l’Albero Bianco alzando lo sguardo su in alto, dove svettavano i rami del suo possente vicino. “Il bosco però è salvo! Ora, per quanto gli scorpioni si affannino, non potranno più far morire nessuna delle nostre creature”. Poi, mentre Jaradin toglieva l’ultima foglia dai suoi rami, l’alberello si piegò a terra e rimase immobile.
“L’ultima foglia è per te” disse Jaradin rivolgendosi al grande Baobab. Così dicendo cominciò a scavare tra le sue radici e vi ripose la foglia bianca che aveva tra le mani.
Subito la terra si scosse! Le radici di tutti gli alberi ripresero vita, come risvegliate dal suono di mille trombe in festa ed i rami cominciarono a risollevarsi. Contemporaneamente i rami dell’Albero Bianco si coprirono di minuscoli germogli. Jaradin prese dell’acqua e cominciò a versarla tra le radici del suo amato albero. La vita ritornò nei suoi rami pallidi, il fusto si risollevò e tutto il bosco, con un boato di gioia salutò il ritorno dell’Albero Bianco.
Jaradin, dal canto suo non smetteva di abbracciare i suoi due alberi: ora correva da uno, ora correva dall’altro, e tra loro erano solo parole d’ amore.
Ben presto quel bosco divenne rifugio per tutti gli animali che vivono nel deserto e nella vicina savana. L’erba ed i fiori cominciarono a spuntare nella terra fertile alla base degli alberi, i ruscelli alimentati e diretti dalle mani sapienti di Jaradin scorrevano nelle valli e dissetavano ogni angolo di quel bosco immenso. Il deserto poco a poco cominciò a ritirarsi ed a lasciare spazio ad un meraviglioso giardino fiorito.
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