Messaggio dell’Arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, per la Quaresima 2025
Carissime, Carissimi,
la Quaresima sopraggiunge come tempo opportuno, trampolino di lancio che ci immerge nelle acque rigeneranti e trasfiguranti della Pasqua del Signore Gesù (cfr Rm 6,3-5) per essere sempre più «rivestiti di Cristo» (Gal 3,27), «spirito datore di vita» (1Cor 15,45), e guadagnare in Lui ‘relazioni pasquali’ riscattate dalla desolazione della solitudine e della morte, dal narcisismo e dalla brama di potere che generano e seminano emarginazione, paura, oppressione, inimicizia.
Questo tempo liturgico, lungo i suoi quaranta giorni, contiene e libera una forza performante di conversione. Coinvolge tutto il nostro essere – il corpo con il digiuno, l’intelligenza con la preghiera, i sentimenti con l’elemosina – e lo ri-centra in Cristo che ci ha amati fino a morire per noi!

Palestra di memoria – attraverso un più prolungato ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture – la Quaresima ci aiuta a dare voce alla «domanda del giorno pasquale» (Bose, Inno di Quaresima) e ci prepara, vigilanti nell’attesa, ad aprire la porta a Cristo risorto, il Veniente che viene a bussare e a farsi nostro Commensale (cfr Ap 3,20), e ad «avere cuore capace di pianto» (Bose, Inno di Quaresima) quando, come ci ricorda l’altro ‘tempo forte’ dell’Avvento, «egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno» (Prefazio II).
La Quaresima ci chiede di tenere lo sguardo fisso sul Christus passus et patiens, sul Cristo che patisce nella pazienza, rimanendo sottomesso e costante nel bene, fedele nell’amore a Dio e agli uomini, anche nella passione e nella morte. Per questo diventa un tempo che ravviva e rinvigorisce la speranza, poiché «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Su questo fondamento ineludibile Paolo annuncia: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
Mi sovviene il motto dei monaci certosini, Stat crux dum volvitur orbis (Salda rimane la Croce mentre il mondo gira), che mi accompagna – inciso nel mio stemma episcopale – ormai da quasi 10 anni. Lo scelsi perché fui chiamato dal Nunzio Apostolico proprio il 6 ottobre, memoria di San Bruno fondatore dell’Ordine. Il simbolo certosino della croce piantata sul globo terrestre, indica il supremo punto stabile di riferimento e di salvezza in mezzo ai mutamenti del mondo. È il segno supremo dell’amore di Dio in Cristo per noi uomini: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16). È, dunque, emblema di speranza.
L’anno scorso a Roma, nella chiesa di San Marcello al Corso, lessi una frase che era stata collocata per la mostra del Cristo di San Giovanni della Croce, detto anche il Cristo di Port Lligat, dipinto da Salvador Dalì durante la sua rinascita spirituale: «Se vuoi una parola di speranza fissa lo sguardo in Lui solo. Vi troverai più di quanto desideri». In preparazione al Giubileo del 2025, Pellegrini di speranza, l’espressione era stata liberamente tratta dall’opera del grande santo spagnolo Salita del Monte Carmelo: «Guarda bene a lui e saprai che in lui ho fatto e detto molto più di quanto mi domandi. Se vuoi che ti risponda con qualche parola di consolazione, guarda mio Figlio, a me obbediente e per amor mio sottomesso e sofferente, e avrai molte risposte» (II, 22, 5-6). Mi aiutò a fissare lo sguardo sul Cristo dipinto dal geniale maestro di Port Lligat che si era ispirato al disegno-reliquia del Cristo Crocifisso tracciato tra il 1572-1575 dalla mano di San Juan de la Cruz su un piccolo foglietto, dopo aver avuto in preghiera una visione. Dalì dipinge – come spiega nel catalogo il curatore dell’evento don Alessio Geretti – il Cristo visto dall’alto, così come lo vede il Padre. Chi contempla il quadro non vede il volto del Crocifisso. La croce è un solido pesante sospeso nel vuoto oscuro che sovrasta il paesaggio-mondo. Cristo non è inchiodato al legno, né c’è traccia di sangue. Per Dalì, Gesù “sceglie” di essere crocifisso consapevolmente e liberamente, e soprattutto per amore. Il suo sacrificio non ha bisogno di essere trattenuto da uno strumento di tortura. La sua sofferenza è tutta nel peso che lo tira e lo trascina, che tende ogni muscolo del suo corpo.
Il Cristo pende sul mondo nel buio, mentre si offre ed è offerto dal Padre nell’Amore. Questo tremendo e affascinante effluvio Trinitario d’amore garantisce che il mondo giunga a un porto di salvezza come si vede in basso, nella veduta di Port Lligat – il luogo della creatività di Dalì – figura dell’intero mondo che in questo luogo si riconosce. Il paesaggio è infatti una baia tranquilla circondata da tenui colori e soffusa di luce. Una barca è sulla spiaggia con alcune figure di pescatori che rassettano le reti come nella ‘prima chiamata’ del lago di Galilea. Sono figure inconsapevoli di ciò che sta accadendo – nel fitto buio sovrastante – all’Amore Crocifisso, ma comunque immersi nella grazia, nella luce della speranza, nell’armonia pacificata e pacificante del paesaggio che fa da cornice ad un cielo terso e a un mare blu in bonaccia. Quella luce e quell’armonia della parte inferiore della tela è il mondo così come lo vede Cristo, un mondo finalmente non più sopraffatto da tenebre pesanti ma rischiarato e rasserenato, quasi una insenatura assoluta dove spira una brezza leggera come di nuova creazione. È anche quel lago di Tiberiade da dove cominciò la missione di Gesù di Nazareth chiamando i primi discepoli, emblema di tutti i poveri; il luogo della prima ora, del primo innamoramento e, soprattutto, dell’appuntamento finale dopo la resurrezione (cfr Mt 28,10). Sul cartiglio della croce non è scritto niente. È la pagina su cui tutti quelli che fissano lo sguardo su Gesù possono e devono scrivere la storia riscattata dalle tenebre, riscritta dall’amore che egli riversa nei cuori, perché il mondo sia come, con pazienza e costanza, continua a vederlo Lui.
«In croce il Cristo ci attira, le braccia distese sul mondo, andiamo all’incontro nuziale, è questo il tempo di grazia» (Bose, Inno di Quaresima): con queste parole che la liturgia in Quaresima mette sulle labbra del nostro cuore, mi rivolgo alla mia amata Comunità diocesana.
Fissiamo su Cristo Crocifisso il nostro sguardo. Io, voi – Carissime, Carissimi – non siamo il frutto del nulla gettato nel caos del mondo per caso. Siamo amati, e ciascuno e ciascuna di noi ha accanto amati, come noi. Contemplando in questo tempo liturgico Colui che ci ha amati di un amore più grande (cfr Gv 15,13), riscopriamo e rigustiamo la bellezza della fraternità cristiana, della nostra appartenenza alla Chiesa; la bellezza dell’appartenenza all’unica famiglia umana, oltre ogni confine geografico, di cultura o religione! Anche quando attorno a noi e nel mondo tutto sembra dire il raffreddamento dell’amore e l’avanzamento dell’inimicizia e dell’indifferenza, noi tutti siamo immersi nell’immenso amore di Dio, che continuamente ci rigenera, ci ospita e ci rende fecondi nella speranza e nella carità.
Come scrive l’Autore della lettera agli Ebrei, «la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1). Così la speranza diventa «uno strumento conoscitivo di straordinaria lungimiranza, acutezza, lucidità» (C. M. Martini). È una forza di vita e di relazione incoercibile e incrollabile. Non perché siamo forti. Conosciamo, infatti, anche noi limite, fragilità, paure. Ogni giorno anche il vostro vescovo fa esperienza del suo limite, della sua fragilità, delle sue paure, mentre si misura con un compito così complesso e impari rispetto alle sue capacità e forze!
Rivolgiamo, Carissime, Carissimi, il nostro sguardo all’Amore crocifisso. Ritorniamo a Lui «con tutto il cuore, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore» (Gl 2,12-13). Riponiamo la nostra fede solamente in Lui.
«Entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6), annuncia il vangelo del Mercoledì delle Ceneri. Non lesiniamo tempo al Signore. Asteniamoci dal perdere tempo dietro a cose che ci fanno male umanamente e che ci confondono spiritualmente. Ognuno di noi nel segreto della sua coscienza sa quante energie spreca ogni giorno per cose futili e alienanti. Stiamo di più con il Signore Gesù, rimaniamo più a lungo in Lui. Vedremo zampillare in noi la speranza e la speranza attiverà la forza trasfigurante della carità che, come ci ricorda l’apostolo Paolo, «è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1Cor 13, 4-8). Di carità messianica ha bisogno questo nostro mondo.
«Madre della speranza, veglia sul nostro cammino, guida i nostri passi verso il Figlio tuo» (C. Bizzetti).
Foto: Salvador Dalì, Cristo di San Juan de la Cruz (particolare), 1951, olio su tela, 205×116 cm nell’originale, Kelvingrove Art Gallery and Museum, Glasgow.
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