“L’abito non fa il monaco”, dice un vecchio proverbio, ma in realtà spesso è vero il contrario. L’abito, inteso in senso più generale, può indicare la funzione sociale o lo status di una persona: basti pensare alla divisa di un poliziotto, alla toga di un giudice o alla mimetica di un militare. Il modo in cui ci vestiamo può dire molto di noi o di quello che facciamo, concetto efficace sin dall’antichità in cui l’abito indicava anche l’appartenenza a una determinata classe sociale.Una regola valida ancor di più nella Chiesa, in cui è possibile intuire l’appartenenza a un determinato ordine religioso proprio dall’abito indossato o il “titolo” (monsignore, vescovo, cardinale, papa) dalle insegne esteriori.
Stessa cosa accade nelle celebrazioni liturgiche, in cui il celebrante e i ministri indossano delle vesti che ne indicano il ruolo con significati ben precisi.I paramenti sacri, infatti, hanno un carattere tipicamente cultuale: si usano cioè solo nelle celebrazioni liturgiche e non nella vita di tutti i giorni, il che ci aiuta a distaccarci dalle incombenze quotidiane. Inoltre aiutano a “mimetizzare” chi le indossa, ricordandoci che chi celebra lo fa non per proprio conto ma in persona Christi.
La veste liturgica di “base” è il camice, anche detto alba (dal latino, significa bianco): è una veste bianca solitamente di lino, cotone o materiale sintetico variamente ornata che richiama alla purezza. Bianca è la veste indossata dai due angeli quando Maria di Magdala piangeva al santo sepolcro, candida diviene la veste di Gesù in occasione della Trasfigurazione, candide sono le vesti date nell’Apocalisse “a coloro che furono immolati a causa della parola di Dio”. Da qui la veste bianca che ci viene data nel battesimo e che esprime quindi purezza e risurrezione.Il camice è la veste comune a tutti coloro che svolgono un ufficio nella liturgia: non solo i ministri ordinati (vescovi, presbiteri, diaconi) ma anche i laici come lettori o accoliti (ministri istituiti) o ancora i ministranti (ministri di fatto).